sabato 31 dicembre 2011

Trecentotrenta milioni di dèi

Shitala, divinità indiana venerata
soprattutto nell'India del nord e in Nepal
330.000.000? Trecentotrentamilioni? Ma è possibile che le divinità indiane siano così tante? Eppure è questa la risposta che ci sentiamo dare quando chiediamo quanti sono gli dèi del subcontinente, questo è quello che troviamo scritto nei testi e questo è quello che scopriamo andando in India, visitando le città ed i villaggi. Scopriamo costantemente nuovi nomi, nuovi dèi, diverse manifestazioni o diversi nomi di dei già conosciuti.
Non ci sono solo Shiva, Brahma, Vishnu, i loro avatar quali Rama e Krishna, non ci sono solo le loro spose Parvati, Kali, Saraswati, Laksmhi e Sita, non ci sono solo i loro figli come Ganesh e Kartikeia, non ci sono solo gli dèi vedici più noti come Indra e Varuna, Agni e Prajapati, Daksha e Yama, ma esistono milioni di dei dai nomi per noi sconosciuti. Shitala, Mansa, Chamunda, Rahu, Muruga, Himawan, i Marut, Aditi e gli Aditia, Mutappan, Yellamma, Usha, Gauri, Ayappa, Nirrita, Aptya, Amsha, Kubera, Revati. Ogni regione, ogni villaggio, ogni famiglia, ogni tribù, ogni villaggio ha una propria divinità sconosciuta nelle altre parti dell’India.
In proposito la Brhadaranyaka Upanishad – la cui lettura consiglio a tutti vivamente – ci riporta un dialogo tra Vidgdha Sakalya e il saggio Yajnavalkya.
“Ma quanti sono gli dèi?” chiede Vidagdha.
“Tre e trecento, tre e tremila” risponde Yajnavalkya.
“Va bene – replica Vidagdha – ma in realtà quanti sono gli dèi?”
“Trentatre,” risponde il saggio.
“Sì, è corretto, ma quanti sono veramente?” insiste Vidagdha.
“Sei,” replica Yajnavalkya.
“Certo, ma quanti sono?”
“Tre,” risponde Yajnavalkya.
“Sì, va bene, ma veramente quanti sono?” chiede ancora Vidgdha.
“Due,” dice Yajnavalkya.
“Ma in realtà quanti sono gli dèi?”
“Uno e mezzo.”
“Ma infine, dimmi o Yajnavalkya, quanti dèi esistono?”
“Uno.”
Insomma, ekam sat vipra bahuda vadanti, Dio è uno, ma i saggi lo chiamano in modo diverso.

sabato 24 dicembre 2011

A thought of Arundhati Roy

Indian shop
In a recent issue of "D of the Republic" (italian magazine) there was an interview with Arundhati Roy. They asked her opinion on how India is seen from outside. This is her answer:

"It's funny, because when the so-called "Arab Spring broke" has been followed anywhere. In Kashmir 100 thousand people took to the streets over the past three years, facing tanks, police. There were lots of dead and no one has talked about "spring of Kashmir." Kashmir is under military occupation of the densest in the world: 700 thousand soldiers in the little valley. The U.S. has sent 165 thousand soldiers to attack Iraq! But nobody talks about. Of course, India is the ideal of international finance and then you have to write the growth rate, not the fact that there are 800 million people living on less than 30 cents a day! Or the fact that there are poorer than the 7 poorest states of the Africa combined. We speak about the spiritual life of India, not about a country very violent with women and children and that the middle class ishungry for blood. "

Un pensiero di Arundhati Roy

In uno degli ultimi numeri di "D di Repubblica" c'era un'intervista ad Arundhati Roy. Le hanno chiesto la sua opinione su come dall'estero viene vista l'India. Questa la sua risposta:
La Porta d'India a Mumbay

"È curioso, perché quando è scoppiata la cosiddetta “primavera araba” è stata ripresa ovunque. In Kashmir sono scese in piazza 100mila persone negli ultimi tre anni, affrontando carri armati, polizia. Ci sono stati un sacco di morti e nessuno ha parlato di “primavera del  Kashmir”.  Il Kashmir è  sotto la più densa occupazione militare del mondo: 700mila soldati in quella piccola valle. Gli Stati Uniti ne hanno mandati 165mila per attaccare l’Iraq! Ma nessuno ne parla. Per forza, l’India è la destinazione ideale della finanza internazionale e quindi devi scrivere di percentuale di crescita, mica del fatto che ci sono 800 milioni di persone che vivono con meno di 30 centesimi al giorno! O del fatto che ci sono più poveri di quelli dei 7 più poveri stati africani messi assieme. Si parla della vita spirituale dell’India, non del fatto che è un paese molto violento con le donne e i bambini e che la classe media è assetata di sangue."

sabato 17 dicembre 2011

Durga, the inaccessible

Golden Durga
This time the gods in their eternal struggle against the demons asuras cannot win. Powerful weapons, bloody battles, ingenious stratagems cannot eliminate the powerful buffalo Mahisha and its endless hordes of savage warriors.
Only the sum of their energies and their weapons will be concentrated will can prevail against Mahisa. Here comes Durga, the more powerful, ruthless, cruel god of Hinduism along with Kali who - according to some traditions - was born out of an eyebrow of Durga.
Shiva gift  his own trishula, Vishnu chakra, Agni the arrow of fire, Vayu the bow, Indra the thundhier, Kubera the bat, Yama the spear. For this Durga has many arms, up to thirty-two. Hes vahana, the vehicle which she uses  to move, is the tiger and more often lion, for this she is also known as Simhavahini (Simha = Lion).
Durga is beautiful and she isn't - like the other goddesses - the Shakti that is the energy of a particular god, but it is the sum of the energies of all the gods. Durga has no spouse even if the different traditions seek to associate now to a god now to another.
So armed Durga is launched against the buffalo, hits him, but he turns into a lion, and she strikes again turns into an elephant, and catching her with its proboscite. The goddess then with a clean blow knocks his proboscite and Mahisha turns back buffalo, the goddess - enhanced by the intoxicating drink soma - hits the monster to death and at the end from the mouth of the buffalo get out the demon in his human form. A huge and powerful warrior with a sword. Durga does not scare Mahisa and hits his heart with the trident, the Shiva's trishula.
It was the tenth day of battle and Durga had killed Mahisha finally, for this she is also called Mahishasuramardini, the one who killed Mahisha and that day is considered to be dedicated to her, is the Vijaya Dashami.
The goddess is worshiped all over India especially during the festivals of Durga Puja.
For her fighting and winning  nature she was also taken as a symbol of independent and free India.

Durga, l'inaccessibile

Durga uccide Mahisha
Questa volta gli dèi, nella loro eterna lotta contro i demoni asura non ce la fanno. Armi potentissime, battaglie cruente, stratagemmi ingegnosi non riescono ad eliminare il potente bufalo Mahisha e le sue infinite schiere di selvaggi guerrieri.
Soltanto la somma delle loro energie e delle loro armi concentrata in un unico essere potrà avere la meglio contro Mahisha. Ecco che nasce Durga, la più potente, spietata, cruenta divinità dell'induismo insieme a Kali che - secondo certe tradizione - nasce proprio da un sopraciglio di Durga.
Shiva dono' il proprio trishula, Vishnu il chakra, Agni la freccia di fuoco, Vayu l'arco, Indra il tuono, Kubera la mazza, Yama la lancia. Per questo Durga ha molte braccia, fino a trentadue. Il suo vahana, il veicolo che utilizza per muoversi, è la tigre, più spesso il leone e per questo è anche conosciuta come Simhavahini (simha = leone).
Durga è bellissima e non è - come le altre divinità femminili - la shakti cioè l'energia di un particolare dio, ma è la somma delle energie di tutti gli dei. Durga non ha sposo anche se le varie tradizioni cercano di associarla ora a un dio ora ad un altro.
Così armata Durga si lancia contro il bufalo, lo colpisce, ma lui si trasforma in leone, di nuovo la colpisce e lui si trasforma in elefante e la cattura con la sua proboscite. La dea allora con un colpo netto gli stacca la proboscite e Mahisha si trasforma nuovamente in bufalo, la dea - rafforzata dalla bevanda inebriante soma - colpisce a morte il mostro e alla fine dalla bocca del bufalo esce l'asura nella sua forma umana. Un enorme e potente guerriero armato di spada. Durga non si fa intimorire e colpisce Mahisha al cuore con il tridente, il trishula di Shiva. Si era al decimo giorno di combattimento e Durga aveva finalmente ucciso Mahisha, per questo è chiamata anche Mahishasuramardini, Colei che uccise Mahisha e quel giorno è considerato a lei dedicato, è il Vijaya Dashami.
La dea è venerata in tutta l'India soprattutto durante le feste del Durga Puja.
Per il suo carattere combattivo e vincente è stata anche assunta a simbolo dell'India indipendente e libera.

giovedì 8 dicembre 2011

Bhangasvana, the king who wanted to be woman

Indra on his vahana Airavata
In ancient times there was a just and wise king, his name was Bhangasvana. The king was very sad because he had no children who would guarantee his offspring. The idea was to celebrate the Agnishuta, the great sacrifice to Agni, the God of fire, to get a son.

The rite was celebrated with great participation and great precision and worked so that Bhangasvana had one hundred sons.
But the wise king forgot envy and jealousy of the Gods. Celebrating the Agnishuta, he had gravely offended Indra, the King of Gods and Indra decided to take revenge.
One day the king was out hunting and got lost in a dense forest, tired and thirsty, he came in front of a lake where he fell to drink and freshen up, but when he get out of the water he descovered that was transformed into a woman. Desperate, Bhangasvana did not know what to do, how he would get in his home town, how to live in that condition, or understand the reason for that transformation. But he took courage, he returned to the royal palace and explained to his wives and his sons what had happened. He transferred power to his hundred sons and moved into the forest.
Here Bhangasvana became the wife of a hermit and he had a hundred children again. Bhangasvana thought that they were entitled to the throne, led them into his kingdom and said to one hundred other sons to share power peacefully with the new one hundred brothers.
But Indra was not appeased and sowed envy between the brothers, among them a great war broke out during which all perished.
Bhangasvana became desperate and her desperation moved to pity Indra who appeared to the Bhangasvana and explained her the reason for everything that had happened.
Bhangasvana knew she had offended Indra and humbly asked forgiveness from the King of the Gods, who said:
"Your repentance is sincere, so I can bring back to life one hundred of your children, who you want to come back to life the sons you've had as a man or those which she have had as a woman?"
"The ones I had as a woman," said Bhangasvana without even thinking for a moment.
Indra was astonished and asked why.
"The love of a mother is the greatest love that exists on earth - Bhangasvana said - so her suffering for the loss of a child is greater than that of a father."
Indra was struck by the response of the woman, "you have responded well, woman, and I not just back to life all your children, even those born from your previous life as a man, but I will pgive you back your manhood, you will return to being a man. "
"No - Bhangasvana cried - I want to be a woman!"
Indra, even more amazed at the response, demanded an explanation.
"As a woman's love is greater than that of a man - said Bhangasvana - so a woman get the sexual pleasure that is far more intense than the one that gets the man."
And so Bhangasvana remained woman.

Bhangasvana, il re che volle restare donna


Indra sopra il suo vahana, l'elefante Airavata
Nell’antichità più lontana esisteva un re giusto e saggio, il suo nome era Bhangasvana. Il re era molto triste perché non aveva figli che gli garantissero una discendenza. Pensò allora di celebrare l’Agnishuta, il grande sacrificio ad Agni, Dio del fuoco, per ottenere un figlio maschio. 
Il rito venne celebrato con grande partecipazione e grande precisione e raggiunse il suo scopo tanto che Bhangasvana ebbe cento figli maschi. 
Ma il saggio re non aveva fatto i conti con l’invidia e la gelosia che regnavano tra gli Dèi. Celebrando l’Agnishuta aveva offeso gravemente Indra, il Re degli Dèi, e Indra decise di fargliela pagare. 
Un giorno il re era a caccia e si smarrì in una fitta foresta, stanco e assetato arrivò di fronte a un lago dove si gettò per bere e rinfrescarsi, ma quando uscì dall’acqua scoprì che era stato trasformato in donna. Disperato, Bhangasvana non sapeva cosa fare, come poter tornare nella sua città, come poter vivere in quella sua condizione, né capiva il motivo di quella trasformazione. Ma si fece coraggio, tornò al palazzo reale e spiegò alle proprie mogli e ai propri figli cosa era successo. Trasferì il potere ai suoi cento figli e si trasferì nella foresta. 
Qui Bhangasvana divenne moglie di un eremita e da lui ebbe altri cento figli. Bhangasvana pensò che anche questi avessero diritto al trono, li condusse nel suo regno e disse agli altri cento figli di condividere pacificamente il potere con i nuovi cento fratelli. 
Ma Indra non era placato e seminò l’invidia tra i fratelli, scoppiò tra essi una grande guerra durante la quale perirono tutti e duecento. 
Bhangasvana si disperò e la sua disperazione impietosì Indra che apparve al re e spiegò il motivo di tutto ciò che era accaduto. 
Bhangasvana capì di avere offeso Indra e chiese umilmente perdono al Re degli Dèi che disse: 
“Il tuo pentimento è sincero, per questo posso far tornare in vita cento dei tue figli, chi vuoi che tornino in vita i figli che hai avuto come uomo o quelli che hai avuto come donna?” 
“Quelli che ho avuto come donna,” rispose Bhangasvana senza neppure riflettere un attimo. 
Indra rimase stupito e ne chiese il motivo. 
“L’amore di una madre è il più grande amore che esista sulla terra – rispose Bhangasvana - così la sua sofferenza per la perdita di un figlio è maggiore di quella di un padre.” 
Indra rimase colpito dalla risposta della donna, “hai risposto bene, donna, e per questo non solo riporterò in vita tutti i tuoi figli, anche quelli nati dalla tua precedente vita di uomo, ma ti restituirò la tua mascolinità, tornerai ad essere uomo.” 
“No – gridò Bhangasvana – voglio restare donna!” 
Indra, ancora più stupefatto della risposta, chiese spiegazioni. 
“Come l’amore di una donna è più grande di quello di un uomo – rispose Bhangasvana - così il piacere che ottiene dall’unione sessuale è di gran lunga più intenso di quello che ottiene l’uomo.” 
E così Bhangasvana restò donna.

sabato 3 dicembre 2011

River to River

 I should speak about the good film Chaplin that yesterday, at the Odeon Cinema in Florence, opened on 11 th edition of River to River, Florence Indian Film Festival, but first I want to focus on greeting the Indian Ambassador in Rome, Debabrata Saha, addressed the Festival.
Well, besides the customary greetings and thanks, Saha Ambassador expressed his appreciation of the fact that this year, as well as films from India, River to River presents one that comes from Pakistan. It is Bol, of Shoaib Mansoor.
I think it's interesting to point out this reference from the perspective of the attempts that two Asian governments are doing to try to normalize diplomatic relations between two countries, from the partition to the present, have always been very turbulent.
Let's go back to Chaplin, director by Anindita Bandopadhyay.
Bansha, the masterful Rudranil Ghosh, is an actor of a troupe of entertainers for parties, birthdays and weddings. He plays Charlot and plays it very well, but this is not enough to ensure the child of eight years Nimua decent meals and a decent roof. The relationship between father and son  is wonderful: infinite love and complicity. There are no problems, everything can be turned with a laugh, even the bread soaked in water which becomes a well-spiced mutton. The boy is always dreaming of one day becoming the protagonist of one of those parties where his father works and he can only see from the windows.
But luck seems to be favorable to Chaplin winning selections to participate in a reality TV show. When economic problems seem to disappear, the small Nimua is diagnosed with a very serious illness.
Bansha, desperate for the doom of his son,  does everything to make happy Nimua and organized a birthday party where Chaplin will recite just for him.

River to River


Dovrei parlare del bel film Chaplin che ieri al Cinema Odeon di Firenze ha aperto l'11°  edizione di River to River, il Florence Indian Film Festival, ma voglio prima soffermarmi sul saluto che l'Ambasciatore Indiano a Roma, Debabrata Saha, ha rivolto al Festival .

Ebbene, oltre ai saluti e ai ringraziamenti di rito, l'Ambasciatore Saha ha manifestato il proprio apprezzamento del fatto che quest'anno, oltre a pellicole provenienti dall'India, River to River ne presenta una che proviene dal Pakistan. Si tratta di Bol, di Shoaib Mansoor.
Credo sia interessante evidenziare questo riferimento nell'ottica dei tentativi che i due governi asiatici stanno facendo per cercare di normalizzare le relazioni diplomatiche tra due paesi che, dalla partizione ad oggi, sono state sempre molto turbolente.
Torniamo a Chaplin del regista Anindo Bandopadhyay. 
Banshi, il bravissimo Rudranil Ghosh, è un attore di una compagnia di animatori di feste, compleanni e matrimoni. Fa Charlot e lo fa benissimo, ma questo non gli basta per garantire al figlio di otto anni Nimua un pasto decente e un tetto dignitoso. Il rapporto tra i due è di infinito affetto e complicità. Non esistono problemi, tutto si può trasformare con una risata, anche il pane inzuppato nell'acqua che diventa un montone ben speziato. Il bambino sogna sempre di diventare un giorno il protagonista di una di quelle feste in cui suo padre lavora e che lui può vedere solo dai vetri delle finestre. 
Ma la fortuna sembra arridere a Chaplin che vince le selezioni per partecipare ad un reality show televisivo. Quando sembrano sparire i problemi economici, al piccolo Nimua viene diagnosticata una gravissima malattia.
Banshi, disperato per il destino segnato del figlio, fa di tutto perchè Nimua sia felice e gli organizza una festa di compleanno dove Chaplin reciterà solo per lui.

lunedì 28 novembre 2011

Lo sguardo di Gandhari e il destino di Duryodhana


Il combattimento 
tra Bhima e Duryodhana
Eravamo al diciassettesimo giorno della grande battaglia di Kurukshetra narrata dal Mahabharata. I Pandava stavano sconfiggendo i cugini Kaurava che tredici anni prima avevano con l’inganno usurpato il trono. 
Dei cento figli del re cieco Dhritarashtra ne rimaneva uno, il perfido Duryodhana, colui che rappresentava la causa della più grande e sanguinosa guerra dell’umanità. Il giorno dopo si sarebbe scontrato con Bhima in quello che presumibilmente sarebbe stato il combattimento finale. 
La regina Gandhari, madre di Duryodhana, era sopraffatta dal dolore per aver perso tutti i propri figli tranne uno, voleva ad ogni costo salvare Duryodhana anche se sapeva che tutta la tragedia era conseguenza delle colpe del figlio. 
Gandhari, che dal momento delle nozze si era coperta gli occhi con una benda per divenire cieca come cieco era suo marito Dhritarashtra, si era sottoposta ad austerità e meditazioni che le avevano conferito grandi poteri. Si fece condurre quindi sul campo di battaglia per dare una possibilità di salvezza al figlio. 
“Figlio mio – disse Gandhari a Duryodhana – domani mattina prima di andare a combattere vieni nella mia tenda completamente nudo.” 
Il giorno dopo Duryodhana si recò dalla madre senza vestiti indosso, ma all’ingresso della tenda si imbattè in Krishna, alleato dei nemici Pandava, che era andato a rendere omaggio alla regina, non a caso proprio in quel momento. 
“Duryodhana perché sei così, tutto nudo?” chiese Krishna. 
“Devo recarmi dalla regina mia madre,” rispose Duryodhana. 
“Ma è sconveniente e non è consentito presentarsi alla propria madre in questo stato, cingiti almeno i fianchi con un panno,” replicò Krishna. 
E Duryodhana, imbarazzato, così fece ed entrò nella tenda della madre. 
“Eccomi madre – disse – sono qui davanti a te.” 
Gandhari, per la prima volta da quando si era sposata, si tolse la benda e col suo sguardo mistico infuse nel corpo del figlio l’invincibilità, ma al tempo stesso la regina si disperò. 
“Perché ti sei coperto i fianchi con un panno? In questo modo le parti del tuo corpo che non sono state esposte al mio sguardo saranno vulnerabili!” 
“E’ stato Krishna a dirmi che non era opportuno presentarmi a te senza vestito alcuno, e così io ho fatto.” 
Krishna! La regina capì. Anche il destino del suo ultimo figlio era segnato. Il giorno dopo Duryodhana venne ucciso da Bhima che gli spezzò entrambe le gambe.

Gandhari's gaze and Duryodhana's fate

Nakula, one of the
five Pandavas brothers

Kurukshetra battle was at its seventeenth day. The Pandavas were defeating their cousins ​​Kauravas who, thirteen years before, had usurped the throne by deception as Mahabharata narrated.
Of the hundred sons of blind king Dhritarashtra was left just one, the wicked Duryodhana, who represented the cause of the biggest and bloodiest war of humanity. The next day he would fight against Bhima in what presumably would be the final battle.
Queen Gandhari, mother of Duryodhana, was overwhelmed by the pain of having lost all her sons except one, wanted save Duryodhana at all costs, even though she knew that the whole tragedy was a result of the sins of her son.
Gandhari, who since her marriage had covered her eyes with a bandage to become blind as blind was her husband Dhritarashtra, had undergone austerities and meditations which had given her great powers. Then she went to the battlefield to give a chance of salvation to his son.
"My son - Gandhari said to Duryodhana - tomorrow morning before going to fight come to my tent completely naked."
The next day Duryodhana went to his mother without clothes on, but at the entrance of the tent came across Krishna, major ally of the Pandavas, the Duryodhana enemies, who had gone to pay homage to the queen, not coincidentally at that time.
"Duryodhana, because you're so naked?" said Krishna.
"I have to go to the queen my mother," said Duryodhana.
"But it is inconvenient and isn’t allowed to present to own mother in that state, at least gird your hips with a cloth," said Krishna.
And Duryodhana, embarrassed, did so and went into the tent of his mother.
"I am here before you, mother," said Duryodhana.
Gandhari, for the first time since she was married, took off her blindfold and with her mystical eyes infused into the body of her son invincibility, but at the same time the queen was desperate.
"Why have you covered your hips with a cloth? In this way the parts of your body that have not been exposed to my gaze will be vulnerable! "
"Krishna told me that it was not appropriate to introduce myself to you without any clothes, and so I did."
Krishna! The queen knew. The fate of her last son was sealed too. The day after Duryodhana was killed by Bhima who broke both his legs.

venerdì 25 novembre 2011

The Indian economic 'miracle'

Let me point out an article, long but very interesting, Siddhartha Deb on the 'miracle' of Indian economic published on Guernica magazine. This is only a brief excerpt, to read the entire article click  here


Workers in Cochin

"The changes that have been wrought in India in the past two decades have not been kind to the poor. Even as the number of millionaires and billionaires has increased, followed by the aspirers from the middle classes, the poor have seen either little or no improvement at all, depending on which economists and policy makers one chooses to believe. The data collected by the Indian government, which has been subject to some controversy for its tendency to downplay the number of poor people and the extent of their destitution, is nevertheless stark. In 2004-2005, the last year for which data was available, the total number of people in India consuming less than twenty rupees (or fifty cents) a day was 836 million—or 77 percent of the population. The people in this group belong overwhelmingly to what policy makers refer to as the “unorganized” or “informal” sector of the economy, which means that the work they do is irregular, carried out in harsh conditions and offers no security or upward mobility."

Il 'miracolo' economico indiano

Vi segnalo un articolo, lungo ma molto interessante, di Siddhartha Deb sul 'miracolo' economico indiano pubblicato su Internazionale del 18 novembre 2011. Ne riporto solo un breve stralcio, per leggere l'intero articolo clicca qui.


Camion diretto al mercato
ortofrutticolo di Ernakulam
 "I cambiamenti introdotti in India negli ultimi vent’anni non hanno aiutato i poveri. Mentre è aumentato il numero di milionari e miliardari, e quello degli appartenenti alla classe media che aspirano a diventarlo, per i poveri la situazione è migliorata poco o per nulla, a seconda degli economisti e dei politici a cui si decide di credere. In ogni caso, i dati raccolti dal governo indiano, criticato per la sua tendenza a ridimensionare il numero dei poveri e il loro stato di indigenza, parlano chiaro: tra il 2004 e il 2005, il periodo a cui risalgono gli ultimi dati disponibili, gli indiani che vivevano con meno di 20 rupie al giorno (30 centesimi di euro) erano 836 milioni, cioè il 77 per cento della popolazione. Sono persone che lavorano prevalentemente in quel settore dell’economia che i politici definiscono “non organizzato” o “informale”: in altre parole, fanno un lavoro irregolare, in condizioni difficili e senza garanzie o prospettive di mobilità verticale."

sabato 19 novembre 2011

Yama, Yami e l'invenzione della notte


Tramonto indiano
Yami era follemente innamorata di suo fratello Yama. Voleva giacere con lui e si struggeva per il rifiuto del fratello.
Secondo i Veda, Yama e Yami furono i primi due esseri umani.
Yama, figlio di Visvasvat (un aspetto di Surya, dio del sole) e di Saranyu (la Nuvola o l'Aurora) è infatti l’uomo storico primordiale, il primo dei mortali e, quindi, il primo essere vivente che morrà e che passerà nell’aldilà di cui poi diventerà l’incontrastato e temutissimo re.
Yami era sua sorella gemella e da lei nacque in seguito il fiume, gemello del Gange (rectius della Ganga), la Yamuna.
Insomma i due erano gli unici esseri umani esistenti ed Yami insisteva continuamente, voleva il fratello, voleva unirsi a lui per avere una discendenza e popolare la terra. Del resto chi poteva amare non essendoci nessun altra persona oltre al fratello?
Il Rig Veda (X, 10) narra di questa storia fornendo una versione originale del tema primordiale dell’incesto.
“Gli immortali desiderano una discendenza dall’unico dei mortali, fratello mio - dice ancora Yami al fratello - che il potere manifestatore della tua mente si unisca a quello della mia, che il tuo corpo penetri il mio.”
“Faremo noi ciò che fino ad oggi non è stato mai fatto? – risponde Yama - Noi che parliamo di rettitudine agiremo in modo non retto?”
“Il desiderio per te è ormai dentro di me, voglio giacere con te nello stesso letto,” insiste la sorella.
“O donna lasciva – replica Yama - gli dèi ci guardano.”
“I gemelli sono avvinti già nel ventre materno come lo sono il cielo e la terra – ribatte Yami - perché non possiamo farlo una volta che siamo nati?”
“Vattene, desidera un marito diverso da me – dice Yama - con lui giaci nel medesimo letto, con lui congiungiti.”
“Sopraffatta dal desiderio ancora ti prego, unisci il tuo corpo al mio.”
“Mai acconsentirò ad unire il mio corpo a quello di mia sorella – conclude Yama - desidera il potere manifestatore della mente di un altro uomo, che quel potere si unisca al tuo.”
Quello che accadde dopo e cioè come il mondo si è popolato nonostante il rifiuto dell’unico uomo a congiungersi con l’unica donna, qui ci interessa poco. Quello che mi piace ricordare è che quando Yama morì, il primo uomo a morire, Yami fu disperata e la sua disperazione non si placava.
Agli dèi che cercavano di consolarla, lei replicava, “Come non posso essere disperata se oggi è morto il mio amato fratello?” E sempre era “oggi”, perché ancora non era stato inventato il tempo, né il giorno nè la notte e tutto avveniva in un eterno presente.
Allora gli dèi inventarono il tempo ed il suo trascorrere, inventarono la notte ed il succedersi di essa al giorno.
Yami cominciò pertanto a dire, “Ieri è morto il mio amato fratello Yama, “ e poi “Sette giorni fa è morto il mio amato fratello Yama,” e poi ancora “Un anno fa…”.
“Per questo – conclude questa volta la Maitrayani samhita – si dice che il trascorrere del tempo allevia le sofferenze.”

Yama, Yami and invention of the night

Sunset in Cochin - Kerala
Yami was madly in love with her brother Yama. She wanted to lie with him and pined for the refusal of his brother.
According to the Vedas, Yama and Yami were the first two human beings.
Yama, the son of Visvasvat (an aspect of Surya, the Sun God) and Saranyu (the Cloud or Aurora) is the primeval man, the first of mortals, and thus, the first living creature to die and to go to the afterlife whose then he’ll become the undisputed and feared king.
Yami was his twin sister and Yamuna, the twin river of the Ganges (or rather of the Ganga), was born from her.
In short, the two were the only humans in existence and Yami constantly insisted, she wanted his brother, wanted to join him to have offspring and to populate the earth. And who else could she love, being no other person than her brother?
The Rig Veda (X, 10) tells this story by providing an original version of the primal theme of incest.
"The Immortals Gods want an offspring from the only of mortals, my brother - Yami says to his brother - the manifest power of your mind to be united with that of mine, that your body enters mine."
"Will we make what until now has never been make? - Yama responds - We are talking about righteousness and will we act incorrectly?"
"The desire for you is now inside of me, I want to lie in the same bed with you," his sister insists.
"O woman lascivious – Yama responds - the Gods are watching us."
"The twins are already enbraced in the womb like the sky and the earth - Yami says - because we cannot it do once we are born?"
"Go away, desire a husband than myself - says Yama - lie in the same bed with him, join up with him."
"Overwhelmed by the desire, I pray you again: unite your body to mine."
"I’ll never agree to join my body to my sister - Yama concludes - desire the manifest power of the mind of another man, that power will join you."
What happened after, that is how the world is populated despite rejection of the only man to join with the only woman, little of interest here. What I like to remember is that when Yama died, the first man to die, Yami was desperate and her despair did not abate.
To the Gods who were trying to console her, she replied, "As cannot I be desperate if my beloved brother died today?" It was always "today", because it was not yet invented the time or day and night and all was happening in an eternal present.
So the Gods invented the night and succeeding of that to the day and then the passing of time.
Yami thus began to say, "My beloved brother Yama is dead yesterday," and then "My beloved brother Yama died seven days ago," and again "A year ago ...."
"For this - Maitrayani samhita concludes this time - it is said that the passing of time relieves the suffering."

sabato 12 novembre 2011

"A nation greater then the sum of its parts"

Sanskrit
Sometimes we don’t realize that India is a very big country, a subcontinent with cultural, religious, ethnic, social, ethical, difference often very considerable. Therefore, it’s impossible to say that "it does so in India" or "in India it is believed that ...". Our desire for simplification collides with a variety non-existent in Europe and with a nation that defies every classification. So someone has written provocatively that "India does not exist."
It is not exclusively a population, in India there are currently about one billion and 200 million inhabitants, or of land and climate.
Hinduism, for instance, is not an unitary religion, it’s a term with which we try to encompass practices, customs, beliefs, faiths practiced in India. But in the Hinduist tradition there are also philosophical atheist, devoutly revered deities in certain areas are not even known in other areas.
And then, in addition to the Hindu tradition there are many other religions, not secondary in terms of 'quantity', if you think that India with its 150 million Muslims is the second largest Islamic nation in the world.
In India the feeding varies for different places, people follow multiple calendars and dress in various ways.
Think about the language. Indian law recognizes 18 official languages, but schools teach 50 different languages ​​and movies are produced in 15 languages, while there are newspapers in over 90 languages ​​and radio programs in at least 70 different languages.
And mind you that those aren’t languages similar to each other, some are totally different. Some languages ​​are in fact derived from the Indo-European, such as Sanskrit and Hindi, as other languages have Dravidian source like Tamil and Malayalam, but others are derived from the Mon-Khmer branch and others from Sinotibetano branch.
Malayalam is spoken in Kerala, in Maharashtra Mahara, the Kannada in Karnataka, the Mithila in Bihar, the Konkali in Goa, Hindi is the official language of twelve Indian states, Assam and the Bodo and speaking the Assamese in Andra Pradesh and in Pondhicherry we talk instead Telegu, and then there are the tribal languages ​​like Gondi and Bhil.
The result of all this diversity is that India does not really exist? It does, it does, but as Amartya Sen says in his book The argumentative indian, "the only possible idea of ​​India is that of a nation greater than the sum of its parts."

"Una nazione più grande della somma delle sue parti"

Cartello in malayalam
A volte non ci rendiamo conto che l’India è un paese molto grande, un subcontinente con diversità culturali, religiose, etniche, sociali, etiche spesso rilevantissime. Per questo è impossibile dire che “in India si fa così” oppure “in India si crede che…”. La nostra voglia di semplificazione deve scontrarsi con una varietà che non si ritrova in Europa e con una nazione che sfugge ad ogni classificazione. Tanto che qualcuno ha provocatoriamente scritto che “l’India non esiste.”
Non è un problema esclusivamente di quantità di abitanti, in India attualmente si contano circa un miliardo e  200 milioni di abitanti, né di territorio o di clima, ma di storia e di cultura.
L’Induismo per esempio non è una religione, è un termine col quale si cerca di racchiudere usi, costumi, credenze, fedi praticate in India. Ma nella tradizione induista ci sono anche correnti filosofiche ateistiche, alcune divinità venerate devotamente in certe zone non sono neppure conosciute in altre zone.
E poi, oltre alle religioni che convivono nella tradizione induista, esistono molte altre religioni che non hanno niente a che vedere con l'"induismo" e che non sono certo secondarie neppure dal punto di vista ‘quantitativo’, se si pensa che l’India con i suoi 150 milioni di musulmani è la seconda nazione islamica del mondo.
E non finisce qui. Anche l’alimentazione varia al variare dei luoghi, si seguono molteplici calendari, ci si veste nei più svariati modi, si seguono usi e consuetudini particolari a seconda delle zone e delle regioni.
Pensate alle lingue. La legislazione indiana riconosce 18 lingue ufficiali, ma le scuole insegnano 50 diverse lingue ed i film sono prodotti in 15 lingue, mentre esistono quotidiani in più di 90 lingue e programmi radio in almeno 70 lingue diverse.
E badate bene che non si tratta di lingue simili tra loro, alcune sono totalmente diverse. Alcuni linguaggi infatti sono di derivazione indoeuropea, come il Sanscrito e l’Hindi, altri di origine dravidica come il Tamil o il Malayalam, altre ancora derivano invece dal ceppo Mon-khmer e altre da quello Sinotibetano.
In Kerala si parla il Malayalam, in Maharastra il Maharati, in Karnataka il Kannada, in Bihar il Mithili, il Konkali a Goa, l’Hindi è la lingua ufficiale di dodici stati dell’India, mentre nell’Assam si parla il Bodo e l’Assamese, in Andra Pradesh e in Pondhicherry si parla invece il Telegu e poi ci sono le lingue dei tribali come il Bhili e il Gondi.
Il risultato di tutta questa diversità è che davvero l’India non esiste? Esiste, esiste, ma come dice Amartya Sen nel suo libro L’altra India, “l’unica idea possibile di India è quella di una nazione più grande  della somma delle sue parti”.

sabato 5 novembre 2011

One who feed Krishna feeds the world

Mahabhalipuram, Tamil Nadu (India)
The twelve years of exile in the forest for the Pandavas were very hard and tiring. They no longer had the command of a flourishing kingdom, no longer lived in sumptuous palaces with servants and maids, but they lived in huts made of bushes and were exposed to the harsh climate and the dangers of the forest.
To make their exile less hard and to enable the five heroic brothers and their wife Draupadi to always have food, the Mahabharata tells us that Surya, the sun God, had given them a copper tray prodigious.
Every time that the Pandavas were hungry, the tray was filled with food and remained full of food until Draupadi had eaten. After the tray remained empty until the next day.
This magic tray made possible not only to the Pandavas to eat, but also to welcome the guests and the wise men who came to visit them with worthy honors. If the hospitality was not worthy and generous, the sages could cast a curse against the Pandavas, and in their situation, they could not afford to be cursed by some ascetic.
One of the most angry rishi was Durvasa. He always pretended to be received with full honors, demanded food for himself and for his many disciples who followed him always, if he had not been satisfied by his guests, he hurled painful curses.
One day, Durvasa went to the palace of Hastinapura where Duryodhana, the evil son of Dritharshtra who had exiled by fraud Pandava cousins, received him with the greatest honors. Durvasa was pleased and said to Duryodhana: "Ask what you want, I will give it."
The evil Duryodhana, who feared the return of the cousins ​​at the end of exile, asked the rishi:
"Oh great and venerable sage, please go to the forest to visit my poor cousins, I are sorry for them and I’m sure they would be happy of your visit."
Duryodhana invited the rishi to go to Pandavas in the evening, after dinner, because he knew that in that way the magic tray would have been hopelessly empty until the next morning.
And so it happened. Durvasa went to the Pandavas and said: "I and my followers are going to do the ritual ablutions, we would like to eat when we come back."
Draupadi was desperate, the tray was empty and she was not able to prepare food in a short time for such a large group. She was terrified, the rishi would hurl a curse against the Pandavas once he was realized that there was nothing to eat. The Queen turned to Lord Krishna, she thought him with all his strength and Krishna appeared to her.
"Hello my Queen Draupadi," said Krishna.
"I need your help, my dear Lord!" Draupadi cried in anguish.
"Wait, I'm hungry, can you give me something to eat first."
"But it is precisely the problem, I’ve nothing to eat," said Draupadi.
"Are you sure? - Krishna insisted - Get the tray and look closely."
Draupadi took the tray and looked into it, it was empty.
"Look closer," said Krishna.
"There is nothing - Draupadi said sadly - there was only a grain of rice and a piece of vegetable."
"Give those to me," said Krishna.
Draupadi gave those to him and Krishna ate two small pieces of food.
"I am satiated - said Krishna to Draupadi - have no concern." And he went.
At the same time, Durvasa and his disciples were returning to the hermitage of the Pandavas and felt incredibly full, satiated, they were no longer hungry, they felt as if they had eaten a large meal.
"Excuse us, Queen - Durvasa said to Draupadi - thank you for your hospitality, but we’ll eat with you another day."
Thus Draupadi and the Pandavas were saved from the curse of Durvasa.
One who feed Krishna feeds the world.

Chi sazia Krishna sazia il mondo

Tempio di Sri Meenaski - Madurai
(Tamil Nadu - India)
I dodici anni di esilio nella foresta per i Pandava furono molto duri e faticosi. Non avevano più il comando di un regno florido, non vivevano più in sontuosi palazzi con servi e ancelle, ma abitavano in capanne fatte di arbusti ed erano esposti al clima rigido e ai pericoli della foresta.
Per rendere il loro esilio meno duro e per consentire ai cinque eroici fratelli e alla loro moglie Draupadi di avere sempre cibo, il Mahabharata ci racconta che Surya, il dio del Sole, aveva donato loro un prodigioso vassoio di rame.
Ogni volta che i Pandava avevano fame, il vassoio si riempiva di cibo e restava pieno di cibo fino a che non si serviva Draupadi. Dopo che la regina aveva mangiato, il vassoio rimaneva vuoto fino al giorno successivo.
Questo vassoio magico consentiva ai Pandava non solo di mangiare, ma anche di accogliere con i degni onori gli ospiti ed i rishi, saggi che si recavano da loro in visita. Se l'accoglienza non fosse stata degna e generosa, i saggi avrebbero potuto lanciare una maledizione contro i Pandava e, nella loro situazione, non potevano certo permettersi di venire maledetti da qualche asceta.
Tra i rishi più iracondi c'era Durvasa. Esigeva di essere sempre accolto con tutti gli onori, pretendeva cibo per sè e per i propri numerosi discepoli che lo seguivano sempre e, nel caso in cui non fosse stato soddisfatto dai propri ospiti, lanciava maledizioni dolorosissime.
Un giorno Durvasa si recò alla reggia di Hastinapura dove Duryodhana, il malvagio figlio di Dritharshtra che aveva con l'inganno esiliato i cugini Pandava, lo accolse con i più grandi onori. Durvasa rimase soddisfatto e disse a Duryodhana: "Chiedimi ciò che vuoi, te lo concederò."
Il perfido Duryodhana, che temeva il ritorno dei cugini al termine dell'esilio, chiese al rishi:
"Oh grande e venerabile saggio, ti prego di andare nella foresta a visitare i miei poveri cugini, sono in pena per loro e sono certo che sarebbero felici di una tua visita."
Duryodhana invitò il rishi a recarsi dai Pandava la sera, dopo la cena, perchè sapeva che in quel modo il vassoio magico sarebbe stato irrimediabilmente vuoto fino al mattino successivo.
E così avvenne. Durvasa si recò dai Pandava e disse loro: "Io ed i miei discepoli andiamo a fare le rituali abluzioni, al ritorno vorremmo mangiare."
Draupadi era disperata, il vassoio era vuoto e non era certo in grado di preparare da mangiare in poco tempo per una così numerosa comitiva. Era terrorizzata, il rishi avrebbe lanciato una maledizione contro i Pandava una volta che si fosse reso conto che non c'era niente da mangiare. La regina si rivolse a Krishna, lo pensò con tutta la sua forza e Krishna le apparve davanti.
"Salve mia regina Draupadi," disse Krishna.
"Ho bisogno del tuo aiuto, mio caro Signore!" gridò angosciata Draupadi.
"Aspetta, ho fame, prima dammi qualcosa da mangiare," ribattè lui.
"Ma è proprio questo il problema, non ho niente da mangiare," replicò Draupadi.
"Ne sei sicura? - insistè Krishna - Prendi il vassoio e guarda bene."
Draupadi prese il vassoio e vi guardò dentro, era vuoto.
"Guarda meglio," disse Krishna.
"Non c'è niente - disse sconsolata Draupadi - c'è rimasto un chicco di riso e un pezzetto di verdura."
"Dammeli," disse Krishna.
Draupadi così fece e Krishna mangiò i due piccoli pezzi di cibo.
"Mi sono sfamato - disse Krishna a Draupadi - non avere alcuna preoccupazione." E se ne andò.
Nello stesso momento, Durvasa ed i suoi discepoli stavano tornando all'eremo dei Pandava e si sentirono incredibilmente sazi, non avevano più fame, si sentivano come se avessero mangiato un abbondante pasto.
"Scusaci, regina - disse allora Durvasa a Draupadi - ti ringrazio per la tua ospitalità, ma mangeremo alla tua tavola un altro giorno."
Così Draupadi e i Pandava si salvarono dalla maledizione dell'iracondo Durvasa.
Chi sazia Krishna sazia il mondo.

giovedì 3 novembre 2011

Il programma di River to River




E' stato pubblicato il Programma dell'11° Florence Indian Film Festival che si terrà a Firenze dal 2 all'8 dicembre 2011.

Clicca qui.

venerdì 28 ottobre 2011

Formula 1 Gran Prix in India. Absurd!

The plantation in Tamil Nadu (India)
What could it happen if the farmers of Greater Noida in India peacefully invaded the Formula 1 circuit constructed on the outskirts of New Delhi. What could it happen if the first Grand Prix of Formula 1 in India, scheduled for next Sunday, could not play because a multitude of angry farmers without violence and peacefully went beyond the security cordons of the thousands of police officers called to defend the 'circus'.
I wish someone shout out loud that there is a different way to spend the money and that there is a model of development that India already has at home and that is the only hope to avoid the risk of being colonized by the West. Risk that there is much more now than it was during the British rule.
Yes, I would really like that - Gandhian-style - without violence and silently these dispossessed farmers for a few rupees present themselves to the gates of the circuit and did you beat up a lathi blows from policemen.
Some numbers.
The Buddh International Circuit (yes, they have just named in honor of Buddha!) was built by the Jaypee Group on a plot of approximately 2500 acres (more than a thousand hectares).
The circuit was built about 40 km from New Delhi and is part of the Jaypee Sports City which, in addition to the track, can boast a cricket stadium, a field hockey, golf course to eighteen holes and a sports school .
The circuit can accommodate about 120,000 spectators and tickets range from 2,500 (about 36 euros) to 35,000 rupees (500 euros).
During the Grand Prix will consume 15,000 liters of fuel.
The total funding amounted to 1,960 crore rupees (about 300 million euros), the land was expropriated and 'paid' to over a thousand family farmers 800 rupees (about 12 euros) per square meter. The farmers claim that was improperly applied the law of 1894, the Land Acquisition Act, to carry out the expropriations and even the Indian Supreme Court has challenged the organizers to have illegally benefited from tax exemptions and attachment orders, asking for explanations on 25% of the proceeds of 'event.
The land provided three crops a year and represented the only source of livelihood for these farmers. In addition, the entire work has closed one of the main roads in the area forcing the children of the village of Atta Gujran to walk more than nine miles to reach their school as the crow flies is no more than a kilometer.
Of course, the multimillionaires of Jaypee Group and politicians argue that the whole operation has brought foreign capital in India, gave work and is an engine for development.
The farmers have not noticed it.

Il Gran Premio di Formula 1 in India. Assurdo!

Piantagione di tè in Tamil Nadu (India)

Cosa accadrebbe se i contadini di Greater Noida in India invadessero pacificamente il circuito di Formula 1 costruito alle porte di New Delhi. Cosa accadrebbe se il primo Gran Premio di Formula 1 in India previsto per domenica prossima non si potesse svolgere perché una moltitudine di contadini indignati ha superato senza violenza e pacificamente i cordoni di sicurezza delle migliaia di poliziotti chiamati a difendere il ‘circus’.
Mi piacerebbe che qualcuno gridasse a voce alta che esiste un modo diverso per spendere i soldi e che esiste un modello di sviluppo che l’India ha già in casa propria e che è l’unica salvezza per evitare il rischio di essere colonizzata dall’occidente, un rischio che oggi è molto più concreto di quanto non lo fosse durante la dominazione britannica.
Sì, mi piacerebbe proprio che – in perfetto stile gandhiano – senza violenze e silenziosamente questi contadini espropriati per poche rupie si presentassero ai cancelli del circuito e si facessero bastonare a colpi di lathi dai poliziotti.
Un po’ di numeri.
Il Buddh International Circuit (sì, lo hanno proprio chiamato proprio così, in onore del Buddha!) è stato costruito dal Jaypee Group su un terreno di circa 2500 acri (più di mille ettari).
Il circuito è stato costruito a circa 40 chilometri da New Delhi e si inserisce nella Jaypee Sport City che, oltre alla pista, può vantare uno stadio di cricket, uno di hockey su prato, un campo da golf a diciotto buche e una scuola di sport.
Il circuito può ospitare circa 120.000 spettatori ed i biglietti di ingresso vanno da 2.500 (circa 36 euro) a 35.000 rupie (circa 500 euro).
Durante il Gran Premio si consumeranno 15.000 litri di carburante.
Il finanziamento complessivo ammonta a 1.960 crore di rupie (circa 300 milioni di euro), il terreno è stato espropriato e ‘pagato’ alle oltre mille famiglie di agricoltori 800 rupie (circa 12 euro) al metro quadro. I contadini sostengono che è stata illegittimamente applicata una legge del 1894, il Land Acquisition Act, per effettuare gli espropri ed anche la Corte Suprema indiana ha contestato agli organizzatori di aver usufruito illegittimamente di esenzioni fiscali chiedendo spiegazioni e sequestrando cautelativamente il 25% degli incassi dell’avvenimento.
I terreni fornivano tre raccolti l’anno e rappresentavano l’unica fonte di sostentamento di quegli agricoltori. A ciò si aggiunga che l’intera opera ha chiuso una delle principali strade della zona costringendo i bambini del villaggio di Atta Gujran a percorrere più di nove chilometri per raggiungere la loro scuola che dista in linea d’area non più di un chilometro.
Naturalmente i multimiliardari del Jaypee Group e i politici sostengono che l’intera operazione ha portato capitali esteri in India, ha dato lavoro e rappresenta un motore per lo sviluppo.
I contadini non se ne sono accorti.

martedì 25 ottobre 2011

River to River - Florence Indian Film Festival

Per chi fosse interessato trascrivo parte della Newsletter di River to River sul prossimo Florence Indian Film Festival.

River to River. Florence Indian Film Festival ospita un focus sul Premio Nobel per la Letteratura Rabindranath Tagore, con proiezioni e incontri a lui dedicati, oltre ai film in concorso e alle sezioni speciali.
River to River. Florence Indian Film Festival, con il Patrocinio dell’Ambasciata dell’India di Roma, quest’anno all’XI edizione si terrà dal 2 all’8 dicembre 2011 presso il cinema Odeon di Firenze, sotto l’egida di Regione Toscana e Fondazione Sistema Toscana Mediateca all’interno della Cinquanta Giorni di Cinema Internazionale a Firenze.

Con la collaborazione del National Film Development Corporation di Mumbai, il Festival renderà omaggio al Premio Nobel per la Letteratura Rabindranath Tagore (1861-1941), poeta, drammaturgo e filosofo indiano, a 150 anni dalla sua nascita, data importante anche per il nostro Paese che ha festeggiato proprio quest'anno i 150 anni dell'Unità nazionale.

I film ispirati ai lavori di Tagore che saranno proiettati durante il Festival sono:

· Khudito Pashan (Hungry Stones) diretto nel 1960 da un grande estimatore di Tagore, Tapan Sinha, e interpretato dalla leggenda Soumitra Chatterjee (già attore in numerosi capolavori di Satyajit Ray); racconta la storia di uomo che va a vivere in una casa stregata e si innamora del fantasma che la abita;

· Ghare Baire (The Home and the World) diretto nel 1984 dal grande maestro del cinema indiano Satyajit Ray e interpretato nuovamente da Soumitra Chatterjee. Il film, in corsa per la Palma d’Oro a Cannes nel 1984, affronta un tema caro al regista bengalese: l’emancipazione della donna.

Concluderà la retrospettiva un documentario sulla vita del Premio Nobel: Rabindranath Tagore diretto nel 1961 da Satyajit Ray.

Completano il programma i film in concorso - lungometraggi, cortometraggi e documentari - in gara per il River to River Bitebay Audience Award e le sezioni speciali extra concorso, accompagnati dai registi e dagli attori che presenteranno i loro lavori al pubblico e alla stampa.
Saranno infine proiettati i migliori lavori d’animazione di Anifest India 2011 in collaborazione con The Animation Society of India ed i vincitori della quarta edizione di Advantage India, concorso per cortometraggi dalla durata massima di tre minuti, promosso da 1takemedia.com.

Come side events avranno luogo degli incontri mattutini sull’India e il suo cinema, oltre ad una proiezione speciale:

· sabato 3 dicembre Folco Terzani parlerà del suo nuovo lavoro sugli asceti indiani dell’Himalaya;

· domenica 4 dicembre verrà ospitato un incontro sul Premio Nobel indiano Rabindranath Tagore, coordinato da Maria Grazia Beverini del Santo e in collaborazione con la Fondazione Il Fiore;

· giovedì 8 dicembre sarà organizzata una matinée con la proiezione del film vincitore del Premio del Pubblico dell’edizione 2010 del Festival, I Am di Onir.


domenica 23 ottobre 2011

The male child

Children in Cochin (Kerala - India)
Having a male child is necessary, indispensable for the salvation from damnation.
In India it is especially important, I would say essential, to have a son. To understand the reasons underlying this requirement is not sufficient to refer to aspects of an economic nature. No doubt, as we have seen in this previous post, a daughter means higher costs and lower benefits from an economic point of view, but it is necessary to analyze the motives of religious nature.
One day we will talk about hell, better about the hells of Hinduism, now it suffices  to say that a soul, stripped of the body after death and before of the reincarnated in another body will suffer the consequences of actions in 'heaven' or hell. After you have enjoyed or suffered for the actions in these lokas (place) the soul is reincarnated into another living being.
To avoid ending up in hell is first necessary to be conducted properly funeral ceremonies and is also necessary to be recited daily prayers for the ancestors. This is one of the three debts men must pay in this life, as well as to the gods and the sages to, everyone has a debt to the ancestors who must be worshiped and fed. The main protagonist of these ceremonies, these rituals and prayers of these is the male child.
"This debt - A. Danielou says in "The four ways of life"- can not be paid to creating a child who can continue the lineage, race, caste, family."
Not for nothing 'son' is said in Sanskrit putra, whose etymology goes back to the put, which is a type of hell, and traye, which in Sanskrit means to save, to preserve. The son is putra,  'He who saves from hell'.
This conviction brings with it many consequences. For example, in the Laws of Manu, the Manusmirti, the most important treaty on standards of behavior, it clearly states that women were created for boys and men to have offspring (Manusmirti IX, 96) and also provides that the husband can 'replace' the wife after eight years of marriage if the wife is infertile, after ten years of marriage if the wife has given birth children died, after eleven years if the wife has given birth only daughters (Manusmirti IX, 81).
Even in the choice of the woman to marry, Manu invites men to reject women from families with no sons, and that even if these families are "full of cows, goats, sheep, wheat, or property" (Manusmirti II, 7).
It is so important to have a son that Manu (IX, 174) considers it legitimate for a married man without sons can buy one for securing the funeral rites.
In the absence of sons, a grandson will perform the duties prescribed for his grandfather.
And  father on his deathbed whispers to son: "You are Brahman, you are the sacrifice, you are the world". The son replies, "I am Brahman, I'm the sacrifice, I am the world" (Brhadaranyaka Upanishad 5, 17).
And is the son who, after three laps counterclockwise around the pyre of his dead father, sets fire during the cremation rites.

Il figlio maschio

Bambini a Cochin (Kerala - India)
Avere un figlio maschio è necessario, indispensabile, per la salvezza dalla dannazione.
In India è particolarmente importante, direi essenziale, avere un figlio maschio. Per capire i motivi che stanno alla base di questa esigenza, non è sufficiente rifarsi ad aspetti di carattere economico. Senza dubbio, come abbiamo visto in questo precedente post, una figlia comporta maggiori spese e minori vantaggi da un punto di vista economico, ma è necessario analizzare le motivazioni di carattere religioso.
Un giorno parleremo dell'inferno, meglio degli inferni dell'induismo, oggi basti dire che un'anima, dopo essersi spogliata del corpo mortale e prima di reincarnarsi in un altro corpo subirà le conseguenze delle sue azioni in 'paradiso' o all'inferno. Dopo avere goduto o patito delle proprie azioni in questi loka (luoghi) l'anima si reincarnerà in un altro essere vivente.
Per evitare di finire all'inferno è innanzitutto indispensabile che vengano svolte in modo corretto le cerimonie funebri ed è altresì necessario che quotidianamente vengano recitate le preghiere per gli avi. Si tratta di uno dei tre debiti che l'uomo deve saldare nella vita terrena, oltre a quello verso gli déi e quello verso i saggi, ognuno ha un debito verso gli antenati che devono essere venerati e nutriti. Protagonista assoluto di queste cerimonie, di questi riti e di queste preghiere è il figlio maschio.
"Questo debito - ci dice A. Danielou ne "I quattro sensi della vita" - non può essere pagato che generando un figlio che possa continuare la discendenza, la razza, la casta, la famiglia."
Non per nulla in sanscrito figlio si dice putra la cui etimologia risale a put, che è un tipo di inferno, e a trayate, che in sanscrito significa salvare, preservare. Il figlio maschio è qundi putra, 'colui che salva dall'inferno'.
Questa convinzione porta con sè molte conseguenze. Per esempio nelle Leggi di Manu, la Manusmirti, cioè il più importante Trattato sulle norme di comportamento, si stabilisce chiaramente che le donne furono create per avere figli maschi e gli uomini per avere una discendenza (Manusmirti IX, 96) e si prevede anche che il marito possa 'sostituire' la moglie dopo otto anni di matrimonio se la moglie è sterile, dopo dieci anni di matrimonio se la moglie ha procreato figli morti, dopo undici anni se la moglie ha procreato solo figlie femmine (Manusmirti IX, 81).
Anche nella scelta della donna da sposare, Manu invita gli uomini a scartare donne appartenenti a famiglie che non hanno figli maschi e ciò anche se queste famiglie sono "ricche di vacche, capre, pecore, proprietà o grano" (Manusmirti II, 7).
E'così importante avere un figlio maschio che Manu (IX, 174) ritiene legittimo che un uomo sposato senza figli maschi possa comprarne uno per garantirsi i riti funerari.
In assenza di figli maschi, il nipote maschio potrà svolgere le funzioni prescritte a favore del nonno.
E' al figlio maschio che il padre in punto di morte trasmette le ultime volontà sussuradogli nell'orecchio: "Tu sei il brahman, tu sei il sacrificio, tu sei il mondo". Il figlio risponde "Io sono il Brahman, io sono il sacrificio, io sono il mondo" (Brhadaranyaka Upanishad I 5, 17).
Ed è il figlio che, dopo aver effettuato tre giri antiorari intorno alla pira del padre defunto, appicca il fuoco durante i riti della cremazione.