domenica 12 giugno 2011

Questa India non mi piace

Questa India non mi piace.
Piantagione di tè in Tamil Nadu
Era, forse lo è ancora, l’unica nazione importante nel mondo che avrebbe potuto (o potrebbe) insegnare a tutti i popoli un diverso modello di sviluppo e una diversa concezione dell’economia. Ma da quando – tra il plauso del mondo occidentale allettato da grandi guadagni con poche spese – la Repubblica Indiana ha aperto al capitalismo, agli investimenti stranieri e al liberismo selvaggio, da quando insomma ha preso il sopravvento quella che significativamente viene chiamata “westossification” (intossicazione da occidente”), l’India va sempre di più verso un modello di sviluppo che favorisce pochi ricchi e crea una massa di poveri che non ha eguali in tutto il mondo, distruggendo territori, culture, tradizioni, esseri umani.
E’ di pochi giorni fa l’ennesima reazione violenta della polizia e dell’esercito contro i contadini di Jagatsinghpu, nello stato dell’Orissa, dove i locali protestavano pacificamente contro il progetto della sudcoreana Posco di impiantare un’immensa acciaieria espropriando per poche rupie migliaia di ettari di terreni appartenenti ai coltivatori, distruggendo circa quaranta fattorie e ponendo fine ad un importante ecosistema di foreste.
Ovviamente il Ministero dell’Ambiente indiano ha concesso la propria autorizzazione all’investimento di circa dodici miliardi di dollari con la scusa dello sviluppo e della creazione di posti di lavoro. A niente sono valse le proteste popolari iniziate nel 2005 e i risultati degli studi indipendenti che evidenziavano il danno ambientale del progetto.
Ma quello della Posco è solo uno dei megaprogetti che presuppongono espropri forzati dei terreni di coltivatori.
Esprori in Uttar Pradesh dove la JayPee Infratechin progetta di costruire una nuova linea ferroviaria, in Jaitapur dove la francese Areva vuole costruire l’impianto nucleare più grande al mondo, ancora in Uttar Pradesh dove la Jiaprakash Associates ha acquisito circa 2.400 ettari di terra per realizzare quartieri residenziali e strutture sportive, compreso una pista automobilistica per la Formula uno e una linea ferroviaria di 165 chilometri, con l’acquisizione del territorio di 1.225 villaggi.
Grazie a leggi vetuste e ingiuste, il prezzo dell’esproprio è irrisorio, si parla di 300 rupie per metro quadro (meno di 5 euro) per terreni che dopo l’esproprio vengono rivenduti dalle autorità ai finanziatori per 600mila rupie al metro quadro.
Finanziatori internazionali,  governi statali indiani, governi stranieri, organizzazioni economiche come il Fondo Monetario fanno la corsa per investire e favorire investimenti, estrazioni minerarie selvagge, disboscamenti, fabbriche e impianti, coltivazioni intensive per i biocarburanti, strade, dighe e ferrovie. L’importante è far arrivare soldi. In realtà in questo modo si va ad alimentare la corruzione e l’ingordigia delle aziende e dei governi internazionali con nessun vantaggio per l’India e gli indiani.
E il futuro non promette niente di buono se il governo ha indicato l’obiettivo di urbanizzare l’85% della popolazione indiana, mantiene il secondo esercito più grande del mondo e continua ad investire centinaia di miliardi di dollari nel programma nucleare militare.
Non importa se i contadini si suicidano per i debiti contratti per acquistare sementi geneticamente modificate e brevettate dalle multinazionali, che il tanto osannato boom dell’IT impiega solo lo 0,2% della forza lavoro mentre la sopravvivenza del 65% della popolazione dipende ancora dalla coltivazione della terra, che 830 milioni di persone vivono con meno di 20 rupie al giorno, che 2 milioni di bambini muoiono ogni anno prima di raggiungere il quinto anno di vita.
E pensare che la ricchezza prodotta dall’India se ben impiegata le consentirebbe di eliminare la povertà e la malnutrizione, l’analfabetismo e le malattie e il sottosviluppo.
Gandhi auspicava la grande India dei villaggi con un tenore di vita “semplice, ma dignitoso”, un’India che sviluppava le sue case rurali, vivendo in pace con il mondo. Swadeshi e swaraj, autosufficienza e autogoverno, “un’India nuova e robusta, non bellicosa, non vilmente imitante l’Occidente in tutta la sua odiosità,” un’India che “diventi la speranza non solo dell’Asia e dell’Africa, ma dell’intero mondo che soffre.”



Per chi vuole approfondire




2 commenti:

  1. questa riflessione è condivisibile al 100%. Tutti i problemi che noi affrontiamo ogni giorno (inquinamento, sfruttamento, disoccupazione, ecc.) lì sono e saranno -purtroppo- un piaga enorme. che influisce comunque anche su tutti noi. Siamo tutti collegati...
    cosa si può fare?

    RispondiElimina
  2. Gandhi diceva che ai ceppi d'oro preferiva i ceppi di ferro e che se l'India liberata dagli inglesi doveva andare sotto un altro padrone tipo il consumismo, tanto valeva rimanere sotto il dominio britannico e aggiungeva che "l'India è in pericolo di perdere la propria anima e se la perderà non potrà vivere. Non potrà perciò dire pigramente e stancamente 'non posso sottrarmi all'attacco dell'occidente', dovrà essere sufficientemente forte da resistere a tale impatto per amore di sè e del mondo."
    Mi pare che oggi l'India rischi di essere più colonizzata di quanto non lo fosse prima del '47.
    Visitando i villaggi dell'India vedo che l'ideale gandhiano non è un'utopia e che potrebbe funzionare, funziona. Sarebbero necessarie però scelte politiche ed economiche diverse da quelle assunte da chi governa il paese.

    RispondiElimina