sabato 28 aprile 2012

Mandodari, thin waist

Mandodari
Madhura was beautiful. She was an apsara, a heavenly nymph, a devotee of Shiva. She was very religious and respected all the precepts of her own faith, including somvar vrat, fasting weekly dedicated to Mahadeva Shiva.
One day, she went to pay homage to God on Mount Kailash. Parvati, Shiva's wife, was not there, and Madhura, kidnapped by an ecstasy apparently not only mystical, laid with the God, ending the embrace before Parvati returned.
When Parvati came, she became suspicious of the presence of beautiful Madhura and suspicion became a certainty when she noticed on the body of Madhura part of the ash which Shiva used to cover themselves.
Parvati cursed Madhura and condemned her to live for twelve years as a frog in a well.
Madhura was desperate, so Shiva, who could not lift the curse of his wife,  promised to Madhura
that - after twelve years as a frog - she would be transformed into a beautiful girl and she was going to marry a powerful man.
So Madhura turned into a frog and lived for twelve years in a well.
After twelve years, Mayasura, king of the demons, and his wife Hema, a beautiful apsara, wanted to have a daughter in addition to the two sons and began to pray to Shiva.
One night Shiva appeared in a dream to the couple and told them to look into the Madhura's well.
The couple went straight to the well and they heard the cry of a child, looked into and found Madhura.
The couple took the girl they named Mandodari which in Sanskrit means " thin waist."
Once grown,  Mandodari married Ravana, powerfull king of Lanka, who abducted Sita, the wife of Rama as told in the Ramayana.
Mandodari is one of the so-called pancha kanya, five virgins. She was very wise and very devoted to her husband even though she tried with all her strength to convince him to return Sita and not to fight against the god Rama.

Mandodari, dalla vita sottile

Mandodari
Madhura era bellissima. Era un'apsara, una ninfa celeste, devota di Shiva. Era molto religiosa e rispettava tutti i precetti della propria fede incluso il somvar vrat, il digiuno settimanale dedicato al Mahadeva, Shiva appunto.
Un giorno si recò a rendere omaggio al suo dio sul monte Kailash. Parvati, sposa di Shiva, non c’era, e Madhura, rapita da un’estasi evidentemente non solo mistica, giacque col dio, terminando l’amplesso prima che Parvati ritornasse. 
Quando Parvati tornò si insospettì della presenza della bella Madhura ed il sospetto divenne certezza quando notò sul corpo di Madhura parte della cenere di cui Shiva era solito cospargersi. 
Parvati maledì allora Madhura e la condannò a vivere per dodici anni come rana in un pozzo. 
Madhura era disperata, così Shiva, che non poteva revocare la maledizione della moglie, promise a Madhura che – dopo i dodici anni da rana – si sarebbe trasformata in una donna bellissima e sarebbe andata in sposa ad un uomo molto potente. 
Così Madhura si trasformò in rana e visse per dodici anni in un pozzo. 
Trascorsi dodici anni, Mayasura, re dei demoni, e la moglie Hema, un’apsara bellissima, volevano avere una figlia oltre ai due figli maschi Mayavi e Dundhubhi e cominciarono a pregare Shiva. 
Una notte Shiva apparve in sogno ai due sposi e disse loro di cercare nel pozzo dove era Madhura. 
I due sposi si recarono subito al pozzo e sentirono il grido di una bambina, guardarono e trovarono Madhura. 
I due presero la bambina che chiamarono Mandodari che in sanscrito significa “dalla vita sottile”. 
Una volta cresciuta, Mandodari sposò Ravana, re di Lanka, colui che rapì Sita, la moglie di Rama come narrato nel Ramayana. 
Mandodari è una delle cosiddette pancha kanya, cinque vergini. Era molto saggia e molto devota al marito anche se cercò con tutte le proprie forze di convincerlo a restituire Sita e a non combattere contro il dio Rama.

sabato 21 aprile 2012

"You're the tenth"

Indian river (Tamil Nadu)
Ten men were walking when they faced a rushing river. Nobody could swim well and the river’s current was very strong, but they had to cross it to continue their journey.
 One by one the ten men then jumped into the river. After much difficulty they reached the other bank and one of them counted to see if all ten had saved. But he counted only nine persons because he didn’t count himself. To check again an other of them counted the fellows and he arrived at nine too, because he forgot to count himself.
 
Convinced they had lost a companion, the men despaired until a stranger passed by that place who asked them why they despaired.
 They told him they had lost a companion crossing the river and to prove him that one of them counted again the fellows and said, "See, we were ten and now we are nine, we lost one of our mates!"

The stranger immediately realized the mistake and touched the breast of the man who had counted the other mates, saying, "you're the tenth."
 And so he did to the other fellow, touched their chest and repeated to each, "you're the tenth."

Similarly, the disciple goes to his own guru saying, "I cannot find the truth, I have looked for it in the the world, in study, in science, in religion, I looked for it in the sky, but I haven’t found it." 
The guru then approaches the student, touching his chest and says "tat tvam asi," that "you're the one, you're the truth you're looking for."

"Sei tu il decimo"

Fiume indiano (Tamil Nadu)
Dieci uomini erano in cammino quando si trovarono di fronte un fiume impetuoso. Nessuno sapeva nuotare bene e la corrente del fiume era molto violenta, ma dovevano oltrepassarlo per proseguire il proprio cammino.
Uno ad uno i dieci uomini si gettarono quindi nel fiume. Dopo molta fatica giunsero sull’altra sponda ed uno di loro contò per verificare se tutti e dieci si fossero salvati. Ma contò solo nove persone in quanto, ancora molto turbato dalla traversata, si dimenticò di contare se stesso.
Per verificare meglio anche un altro di loro contò i compagni e anche lui arrivò a nove, perché anche lui si dimenticò di contare se stesso.
Convinti di aver perso un proprio compagno gli uomini si disperarono finchè non passò da quel luogo uno sconosciuto che domandò loro perché si disperassero.
Gli raccontarono che avevano perso un compagno oltrepassando il fiume e per dargliene prova uno di loro contò nuovamente i compagni e disse, “vedi, eravamo dieci e ora siamo nove, abbiamo perso un nostro compagno!”
L’uomo capì subito l’errore e toccò il petto della persona che aveva contato gli altri compagni dicendole, “sei tu il decimo.”
E così fece con gli altri compagni, toccò il petto a ciascuno e gli ripetè, “sei tu il decimo.”
Allo stesso modo il discepolo va dal proprio guru dicendogli, “non riesco a trovare la verità, ho cercato nella mondo, nello studio, nella scienza, nella religione, l’ho cercata anche in cielo, ma non l’ho trovata.”
Il guru allora si avvicina al discepolo, gli tocca il petto e gli dice “tat tvam asi”, cioè “tu sei quello, tu sei la verità che vai cercando.”

domenica 15 aprile 2012

Right to Education Act


File:Flag of India.svg
Indian flag
The awaited judgment of the Supreme Court of India on the constitutionality of the Right to Education Act caused a stir in India. 
The Right to Education Act (RTE) is the school reform passed in 2010 which - among others - imposes mandatory free schooling for all children from the ages of 6 to 14. 
In particular, the Supreme Court upheld the constitutional validity of one of the most controversial sections and that had caused more controversy and questions of constitutionality and that is one that requires all private and public schools have to keep aside 25% seats for children from poor families .
The schools will receive funding from the central government and from the various federal states, although many private schools argue that such funding will not be sufficient to allow free access required by law.
The RTE Act will not apply to those institutions run by minority organisations and which do not receive money as aid either from the government or local bodies. 

This exclusion has been criticized by some groups who think it absurd that disadvantaged children within the minority communities also stand to lose by such an exemption.
In its judgment, the Court pointed out that out of the 12,500,755 schools offering elementary education in India, 80.2 per cent were government-run, 5.8 per cent were private aided schools and 13.1 per cent private unaided. Of these, 87.2 per cent of the schools were located in rural areas. 
The Court based its verdict on the principle that education is a fundamental right of all children between 6 and 14 years of age.

La riforma della scuola indiana

File:Flag of India.svg
La bandiera indiana
Ha creato grande scalpore l’attesa sentenza della Corte Suprema dell’India chiamata a decidere sulla costituzionalità del Right to Education Act, la riforma della scuola approvata nel 2010 che – tra l’altro – ha previsto la scuola obbligatoria e gratuita per i ragazzi dai 6 ai 14 anni. 
In particolare la Corte ha dichiarato costituzionale una delle disposizioni più controverse e che avevano suscitato maggiori polemiche e dubbi di costituzionalità e cioè quella che dispone che tutte le scuole private e pubbliche devono riservare il 25% dei posti ai ragazzi di famiglie povere. 
Le scuole riceveranno finanziamenti sia dallo Stato centrale che dai vari Stati federali, anche se molte scuole private sostengono che tali finanziamenti non saranno sufficienti a consentire l’accesso gratuito previsto dalla legge. 
Sono escluse dall’obbligo le scuole delle minoranze che non ricevono sussidi pubblici. Tale esclusione è stata criticata da alcune associazioni che ritengono assurdo che siano esonerate dall’obbligo le scuole delle minoranze cui appartengono i ragazzi maggiormente bisognosi. 
Nella sua sentenza la Corte ricorda che su 1.250.755 scuole di istruzione primaria, l'80,2% sono governative, il 5,8% private che godono di aiuti, il 13,1% private che non ricevono aiuti. 
La Corte ha basato il suo verdetto sul principio che quello all’educazione è un diritto fondamentale di tutti i ragazzi tra i 6 e i 14 anni di età.

venerdì 13 aprile 2012

13 aprile 1919: il massacro di Jallianwala Bagh



Uno degli stretti vicoli che portano a Jallianwala Bagh
13 aprile 1919. La Prima Guerra mondiale era finita, ma il Vicere delle Indie aveva deciso di prorogare su tutto il territorio indiano le leggi di guerra, incluso l’odioso Rowlatt Act che consentiva alle autorità di arrestare senza processo, vietava assembramenti, manifestazioni e comizi, limitava la libertà di stampa e di parola. 
Gandhi, che aveva lealmente collaborato con la Corona Britannica durante la Guerra, si sentì tradito. Molti indiani non avrebbero voluto aiutare gli inglesi in guerra, ma anzi avrebbero voluto sfruttarne la debolezza per fare passi avanti verso l'indipendenza. Gandhi non volle farlo e collaborò con gli inglesi. Non si aspettava però quel trattamento alla fine del conflitto. 
Il Mahatma allora inaugurò la prima grande campagna di non collaborazione e proclamò un hartal, uno sciopero generale. Uffici pubblici, fabbriche, treni, elettricità, negozi, traghetti. L’India si fermò. 
Ma gli indiani non erano pronti al sogno non violento di Gandhi. In più parti del subcontinente si verificarono violenze su persone e cose. In seguito il Mahatma parlerà di quella iniziativa come di “un errore himalayano.” 
La reazione degli inglesi fu violenta e raggiunse la massima atrocità proprio il 13 aprile 1919 nella città di Amritsar nel Punjab. 
Circa 10.000 persone si erano riunite in Jallianwala Bagh, una piazza interamente circondata da edifici se non per cinque stretti passaggi. Si tratta di un assembramento vietato dal Rowlatt Act ed il Generale Reginald Dyer decise di dare una lezione non solo agli indiani di Amristar, ma a tutto il Punjab. 
Dyer irruppe nella piazza con 90 soldati. Per fortuna le due autoblindo non poterono entrare in quanto i vicoli di ingresso erano troppo stretti. Senza dare nessun avvertimento né invitare la folla a disperdersi, il Generale ordinò di far fuoco. La strage durò dieci minuti. 
Bambini, donne, uomini, anziani, tutti disarmati, si accalcano verso le vie di fuga e divengono un bersaglio facile per i militari. 
Vengono sparati 1650 colpi, uccise 379 persone e ferite 1137. Poco più di 100 colpi non colpirono il bersaglio. 
Una ferita indelebile rimarrà nei rapporti tra l’invasore britannico e il popolo indiano.

April 13, 1919: the massacre of Jallianwala Bagh

Narrow passage from  Jallianwala Bagh
April 13, 1919. The First World War was over, but the Viceroy of India had decided to extend in all India laws of war, including the odious Rowlatt Act that allowed authorities to arrest without trial, banning meetings, demonstrations and assemblies, restricted freedom of press and speech. 
Gandhi, who had worked loyally with the British Crown during the War, felt betrayed. Many Indians would not have wanted to help the British in the war, but rather wanted to exploit its weaknesses to make progress towards independence. Gandhi did not want to do, and worked with the British. He did not expect, however, that treatment at the end of the conflict.
The Mahatma then opened the first major campaign of non-cooperation and proclaimed a hartal, a general strike. Public offices, factories, trains, electricity, shops, ferry. India was firm.
But the Indians were not ready to Gandhi's nonviolent dream. In most parts of the subcontinent occured violences against people and property. Then the Mahatma speak of that initiative as "a Himalayan mistake."
The British reaction was violent and reached the peak of the atrocities on April 13, 1919 in the city of Amritsar in Punjab.
About 10,000 people had gathered in Jallianwala Bagh, a square entirely surrounded by buildings except for five narrow passages. This is a gathering banned from Rowlatt Act and the General Reginald Dyer decided to give a lesson not only to the Indians of Amristar, but to the whole Punjab.
Dyer burst into the square with 90 soldiers. Fortunately, the two armored cars couldn’t enter because the alleys were too narrow. Without giving any warning or ask the crowd to disperse, the General ordered the fire. The massacrewent on ten minutes.
Children, women, men, old people, all unarmed, crowd the streets to escape and become an easy target for the military.
1650 shots are fired, killed 379 people and injured 1137. Just over 100 shots do not hit the target.
A wound will remain indelible in the relations between the invading British and the Indian people.

venerdì 6 aprile 2012

April 6, The Salt March



Gandhi during the Salt March

When at 6:30 am on April 6, 1930 Mohandas Karamchand Gandhi, the Mahatma, lifted a handful of salt showing it to the 60,000 Indians who had followed him, the Viceroy of the Indies - Lord Edward Irwin - had long understood that he erred in underestimating that Gandhi had personally written him in a heartfelt letter.
Before embarking on the Salt March, the Mahatma had indeed forewarned the Viceroy in a letter dated March 2, 1930 in which he pointed out the hideousness of the Salt Act, the law which reserved to Raji British monopoly on salt production and marketing.
"The salt - Gandhi wrote - for our people is like the air and as the water ....."
The Viceroy smiled as he considered naive that initiative and in a phonogram to the British Government wrote: “At present the prospect of a salt campaign does not keep me awake at night. 
Actually that initiative had a high symbolic value. The Indians, in a non-violent and orderly way, demonstrated that to the British Crown, the world, but mostly to themselves that they were a people who could set aside any law of the Raj.
Showing the handful of salt, Gandhi declared "with this I'm shaking the British Empire to its foundations."
The Mahatma had prepared to detail the dramatic Satyagraha. He had contacted the corrispondents of all the newspapers and radios in the world, the New York Times, reserved to the march two articles on the front page and followed the march day by day.
Gandhi demanded the utmost discipline to the activists. The 78 people who left with Gandhi were all members of his ashram in Sabarmati and he didn’t want any member of the Congress Party.
While Gandhi staked his march in the east, in western India began a march that would come on the same coast of the Bay of Bengal.
The march began on March 12, 1930, and after about 390 km led Gandhi from Ashram Sabarmati (near Ahmedabad) to Dandi, on the coast of the Indian Ocean near the salt industry of Dharasana.
During the march joined the procession as thousands of people who came to Dandi in about 60,000 people with a procession that stretched for over two miles.
Following the march, all over India began to produce and sell salt violating the monopoly of the British Raj that annually got taxes from the odious charge about 8% of Indian taxes.
More than 60,000 people including Gandhi were arrested. The Mahatma was stopped in the night between 4 and 5 May 1930 and released in January 1931, getting the organization of the Second Round Table Conference with the British Government to discuss constitutional reforms and Indian independence. 
And in January 1931, Time magazine selects the Mahatma as a man of the year, dedicating the cover of the first issue of the magazine.

6 aprile: La Marcia del Sale


Gandhi produce il sale
Quando alle 6.30 del mattino del 6 aprile 1930 Mohandas Karamchand Gandhi, il Mahatma, sollevò un pugno di sale mostrandolo ai 60.000 indiani che lo avevano seguito, il Vicere delle Indie – Lord Edward Irwin – aveva già capito da un pezzo che aveva sbagliato a sottovalutare quanto lo stesso Gandhi gli aveva scritto personalmente in un’accorata lettera. 
Prima di intraprendere la Marcia del Sale, il Mahatma aveva infatti preavvisato il Vicere con una lettera del 2 marzo 1930 nella quale evidenziava l’odiosità del Salt Act, la legge che riservava al Raji Britannico il monopolio della produzione e commercializzazione del sale. 
“Il sale – scriveva Gandhi – per il nostro popolo è come l’aria e come l’acqua…..” 
Il Vicere sorrise per quella che considerò un’ingenuità e in un fonogramma al Governo Britannico accennò brevemente all’iniziativa dicendo che "non sarebbe certo stata quella marcia a farlo stare sveglio la notte". 
In realtà quell’iniziativa aveva ed ebbe un altissimo valore simbolico. Gli indiani, in modo non violento e ordinato, riuscirono a dimostrare alla Corona Britannica, al mondo, ma soprattutto a se stessi che erano un popolo e che potevano disapplicare ogni legge del Raj. 
Mostrando quella manciata di sale, Gandhi dichiarò infatti “con questo sto scuotendo dalle sue fondamenta l’Impero Britannico.” 
Il Mahatma aveva preparato nei minimi particolari quel clamoroso Satyagraha. Aveva contattato i corrispondenti di tutti i giornali e le radio del mondo, il New York Times gli riservò due articoli in prima pagina e seguì la marcia giorno per giorno. 
Gandhi pretese la massima disciplina da parte degli attivisti. Per questo partì con 78 persone tutte membri del suo ashram di Sabarmati e non volle nessun membro del Partito del Congresso. 
Mentre Gandhi capeggiava la sua marcia nella parte orientale del paese, nella parte occidentale dell’India partiva una marcia analoga che sarebbe giunta sulle coste del Golfo del Bengala. 
La marcia cominciò il 12 marzo del 1930 e dopo circa 390 chilometri portò Gandhi dall’ashram di Sabarmati (vicino ad Ahmedabad) a Dandi, sulle coste dell’Oceano indiano vicino alle saline di Dharasana. 
Durante la marcia si unirono al corteo migliaia di persone tanto che a Dandi arrivarono in circa 60.000 persone con un corteo che si snodava per oltre due miglia. 
A seguito della marcia, in tutta l’India si cominciò a produrre e vendere il sale violando il monopolio del Raj Britannico che annualmente ricavava da quella odiosa tassa circa l’8% delle tasse indiane. 
Vennero arrestate più di 60.000 persone tra cui il Mahatma Gandhi che venne fermato nella notte tra il 4 e il 5 maggio del 1930 e rilasciato nel gennaio 1931, ottenendo l’organizzazione della Seconda Conferenza con il Governo Britannico per discutere delle riforme costituzionali e dell’indipendenza indiane. 
E proprio nel gennaio 1931 la rivista Time sceglie il Mahatma come uomo dell’anno dedicandogli la copertina del primo numero della rivista.