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martedì 13 novembre 2012

L'immagine di Shiva


La figura di Shiva, una delle principali e più antiche divinità dell’Induismo, mi seduce molto nella sua (apparente) contraddittorietà: Mahayogi (Grande yogi) e mendicante, asceta e seduttore, creatore dell’Universo nella meravigliosa danza cosmica del Nataraja e distruttore del mondo, dio benefico (in sanscrito Shiva significa propizio, benevolo, fausto) e dio della morte e della dissoluzione,  dio potente e creatore che ha nel lingam (il fallo) il suo simbolo e dio mezzo uomo e mezza donna nel suo aspetto androgino di Ardhanarishvara.
Shiva ha molteplici forme e molteplici aspetti, nello Shiva Purana si contano 1008 nomi del grande dio sui quali un giorno tornerò a scrivere.
Oggi voglio soffermarmi su una delle più diffuse rappresentazioni del Dio per analizzare posizione, attributi, mudra, cioè gesti delle mani.
Nella prima immagine pubblicata in questo post, lo vediamo seduto nella posizione del loto (padma asana) sopra una pelle di leopardo (in altre immagini è di tigre o di daino) lo stesso tipo di pelle che ne costituisce unica veste.
Shiva ha tre occhi, per questo è anche detto Trinetra Tryamabaka (dai tre occhi appunto). Essi simboleggiano il sole, la luna e il fuoco, le fonti di illuminazione della terra, dello spazio e del cielo. Sono gli occhi che vedono il passato, il presente ed il futuro. Il terzo occhio, quello centrale, è detto gyana chakshu (occhio della saggezza), è l’occhio dello conoscenza trascendente, che non è rivolto all’esterno, ma all’interno, perché la verità non è fuori di noi, ma dentro di noi. E’ l’occhio col quale Shiva con un solo sguardo incenerì Kama il dio dell’amore che lo stava tentando.
Lingam
Sulla testa il dio ha un crescente di luna al quinto giorno, simbolo della bevanda sacra soma, ma simbolo anche dell’oblazione del sacrificio e della potenza creatrice.
La fronte del dio presenta le tre caratteristiche strisce dello shivaismo.
Dai capelli legati in una crocchia (jata o jatamakuta) scaturiscono la sacre acque della Ganga, il fiume che scorre nel cielo come Via Lattea e che discese sulla terra per consentire la vita degli uomini.
Vari cobra sono avvolti sul corpo del dio, simbolo della morte, ma anche dell’energia. Il collo di Shiva è blu perché il dio bevve il veleno halahala emerso dal frullamento primordiale dell’oceano.
Al collo, oltre ad una ghirlanda di fiori, anche il rosario induista, il japamala formato da semi di rudraksha (occhi di Rudra, altro nome di Shiva), lo stesso che ha ai polsi.
Shiva ha quattro braccia, simbolo di potere universale, con una mano destra tiene il trishula (tridente) simbolo delle tre tendenze della natura (guna) o delle tre funzioni del dio: creazione, conservazione e distruzione dell’universo. Con una mano sinistra afferra il damaru, un piccolo tamburo formato da due triangoli uniti per il vertice che simboleggiano l’aspetto maschile e quello femminile dalla cui unione scaturisce l’universo.
Con la seconda mano destra il dio fa il gesto del ‘non temere’, l’abhayamudra, mentre la sinistra  è nel Jnanamudra, il gesto della conoscenza.
Davanti al dio si erge un lingam (in sanscrito segno), il simbolo astratto del fallo, è la realtà immanifesta, il tutto che è e non è, e che si manifesta con l’unione con la yoni, l’energia femminile su cui spesso è appoggiato il lingam. Sul lingam, oltre alle tre strisce tipiche dello shivaismo, anche la sacra sillaba Om.
Alla destra del dio c’è una ciotola per raccogliere l’elemosina e un piatto di frutta, offerta sacrificale alla divinità.
Nella seconda immagine di Shiva pubblicata su questo post, oltre a quanto già detto, da segnalare il toro bianco Nandin, il vahana (veicolo) di Shiva la cui statua – soprattutto nell’India del sud – è posta innanzi alla stanza del tempio dove è collocato il dio affinché possa essere intermediario tra Shiva stesso ed i fedeli che sussurrano nell’orecchio dell’animale i voti offerti e le grazie richieste alla divinità come illustra la terza foto che ho scattato a Madurai (Tamil Nadu) nello splendido tempio dedicato alla dea Meenakshi.

domenica 6 marzo 2011

Shiva Nataraja

One of the most popular and evocative images of Shiva in South India in particular is that of Shiva Nataraja, the King or the Lord of the dance. Another significant example of the duality of existence. The great ascetic, a beggar asking for alms, naked body sprinkled with the ashes of the crematory, becomes lord of a frantic dance in a circle of flames of Agni, prabhamandala or alatacakra said, dances the Tandava, symbolizing the entire evolution of the universe.
But let see in detail the symbolism of this powerful image that represents one of the 108 positions of the Tandava.
The right foot is placed over the demon Apasmara Purusha (or Mujalaka). Apasmara means forgetfulness, oblivion and symbolizes ignorance, false belief understood as maya, an illusion to believe that real what is transient and, therefore, that binds to the human passions materials and condemns him to be reborn in the cycle called samsara .
The left leg is raised and bent to the right to express the liberating function of the god of dance.
Shiva holds damaru, the drum composed of two united triangles, symbols of the lingam and the yoni, male and female aspect. It’s the drum from which primordial sound was born, the sacred syllable AUM. That is the symbol of creation. The upper left hand of Shiva is in ardhachandra mudra, the half-moon pose, and holds a tongue of flame, symbol of god Agni, symbol of distruction.
The lower right  hand is in abhay amudra, the gesture that represents the negation of fear, the gesture that gives confidence, the protective posture.
The second left arm is in gajahasta mudra, the gesture of trunk of elephant and points at the left leg, the emancipation way. Behind the head long hair of the god are stretching, moved by the violence of the movements of the dance.
Of course, there are other symbols of Shiva we've seen in a previous post: half-moon, the Ganges, the necklace of skulls.
The static god represented by the lingam becomes the relentless engine of the universe, the eternal energy that creates, maintains and destroys everything, the global and unremitting dynamism  theorized by Hinduism where nothing is static, permanent, but everything is in a rapidly emerging with the exception of the one reality, never born and never dies, indefinable and ineffable, one who isn’t being neither not-being, beginning of all things: the Brahman.

Shiva Nataraja

Shiva Nataraja
Una delle più diffuse e suggestive immagini di Shiva soprattutto nell’India del sud è quella di Shiva Nataraja, il Re della danza. Un altro esempio emblematico della duplicità dell’esistenza. Il grande asceta, il mendicante che chiede l’elemosina col corpo nudo cosparso della cenere dei crematori diventa Signore della più forsennata delle danze e in un cerchio composto dalle fiamme di Agni, detto prabhamandala o alatacakra, danza il vorticoso tandava, il ballo che simboleggia l’intera evoluzione dell’universo.
Ma vediamo nel dettaglio il simbolismo di questa potente immagine che rappresenta una delle 108 posizioni del tandava.
Il piede destro è posto sopra il demone Apasmara Purusha (o  Mujalaka). Apasmara significa smemoratezza, oblio e simboleggia l’ignoranza, l’erronea credenza intesa come maya, illusione che fa credere reale ciò che è transitorio e che lega pertanto l’uomo alle passioni materiali e lo condanna a rinascere in quello ciclo che si chiama samsara.
La gamba sinistra è sollevata e piegata verso destra ad esprimere la funzione liberatoria della danza del dio.
Con una mano destra il dio tiene il damaru, il tamburo composto da due triangoli con i vertici uniti simbolo del lingam e della yoni, principio maschile e femminile. E’ il tamburo dal quale scaturì il suono primordiale, la sacra sillaba AUM. Questo è il simbolo della fase creatrice. Con una mano sinistra, piegata nel ardhachandra mudra, il gesto della mezzaluna, Shiva tiene invece una fiamma, simbolo del dio Agni e della fase distruttrice.
L’altra mano destra è piegata nel gesto che rassicura, che invita a non temere, l’abhaya mudra. L’altro braccio sinistro è invece proteso nel gesto della proboscite dell’elefante, il gajahasta mudra, a significare la capacità di rimuovere gli ostacoli ed indica la gamba sinistra come via della liberazione.
Dietro il capo si estendono i lunghi capelli del dio, mossi dalla violenza dei movimenti della danza.
Non mancano naturalmente gli altri simboli propri di Shiva che abbiamo già visto in un precedente post: la mezzaluna, il Gange, la collana di teschi.
Lo statico dio rappresentato dal lingam, da una colonna di pietra, diventa quindi il motore instancabile dell’universo, l’energia eterna che crea, mantiene e distrugge in quel dinamismo totale e incessante teorizzato dall’induismo in cui nulla è statico, permanente, ma tutto è in un vorticoso divenire ad eccezione dell’unica realtà, mai nata e che mai morrà, indefinibile e ineffabile, che non è essere nè non-essere, principio di tutte le cose: il Brahman.

sabato 25 dicembre 2010

L'immagine di Shiva

La figura di Shiva, una delle principali e più antiche divinità dell’Induismo, mi seduce molto nella sua (apparente) contraddittorietà: Mahayogi (Grande yogi) e mendicante, asceta e seduttore, creatore dell’Universo nella meravigliosa danza cosmica del Nataraja e distruttore del mondo, dio benefico (in sanscrito Shiva significa propizio, benevolo, fausto) e dio della morte e della dissoluzione,  dio potente e creatore che ha nel lingam (il fallo) il suo simbolo e dio mezzo uomo e mezza donna nel suo aspetto androgino di Ardhanarishvara.
Shiva ha molteplici forme e molteplici aspetti, nello Shiva Purana si contano 1008 nomi del grande dio sui quali un giorno tornerò a scrivere.
Oggi voglio soffermarmi su una delle più diffuse rappresentazioni del Dio per analizzare posizione, attributi, mudra, cioè gesti delle mani.
Nella prima mmagine pubblicata in questo post, lo vediamo seduto nella posizione del loto (padma asana) sopra una pelle di leopardo (in altre immagini è di tigre o di daino) lo stesso tipo di pelle che ne costituisce unica veste.
Shiva ha tre occhi, per questo è anche detto Trinetra o Tryamabaka (dai tre occhi appunto). Essi simboleggiano il sole, la luna e il fuoco, le fonti di illuminazione della terra, dello spazio e del cielo. Sono gli occhi che vedono il passato, il presente ed il futuro. Il terzo occhio, quello centrale, è detto gyana chakshu (occhio della saggezza), è l’occhio dello conoscenza trascendente, che non è rivolto all’esterno, ma all’interno, perché la verità non è fuori di noi, ma dentro di noi. E’ l’occhio col quale Shiva con un solo sguardo incenerì Kama il dio dell’amore che lo stava tentando.
Sulla testa il dio ha un crescente di luna al quinto giorno, simbolo della bevanda sacra soma, ma simbolo anche dell’oblazione del sacrificio e della potenza creatrice.
La fronte del dio presenta le tre caratteristiche strisce dello shivaismo.
Dai capelli legati in una crocchia (jata o jatamakuta) scaturiscono la sacre acque della Ganga, il fiume che scorre nel cielo come Via Lattea e che discese sulla terra per consentire la vita degli uomini.
Vari cobra sono avvolti sul corpo del dio, simbolo della morte, ma anche dell’energia. Il collo di Shiva è blu perché il dio bevve il veleno halahala emerso dal frullamento primordiale dell’oceano.
Al collo, oltre ad una ghirlanda di fiori, anche il rosario induista, il japamala formato da semi di rudraksha (occhi di Rudra, altro nome di Shiva), lo stesso che ha ai polsi.
Shiva ha quattro braccia, simbolo di potere universale, con una mano destra tiene il trishula (tridente) simbolo delle tre tendenze della natura (guna) o delle tre funzioni del dio: creazione, conservazione e distruzione dell’universo. Con una mano sinistra afferra il damaru, un piccolo tamburo formato da due triangoli uniti per il vertice che simboleggiano l’aspetto maschile e quello femminile dalla cui unione scaturisce l’universo.
Con la seconda mano destra il dio fa il gesto del ‘non temere’, l’Abhayamudra, mentre la sinistra  è nel Jnanamudra, il gesto della conoscenza.
Davanti al dio si erge un lingam (in sanscrito segno), il simbolo astratto del fallo, è la realtà immanifesta, il tutto che è e non è, e che si manifesta con l’unione con la yoni, l’energia femminile su cui spesso è appoggiato il lingam. Sul lingam, oltre alle tre strisce tipiche dello shivaismo, anche la sacra sillaba Om.
Alla destra del dio c’è una ciotola per raccogliere l’elemosina e un piatto di frutta, offerta sacrificale alla divinità.
Nella seconda immagine di Shiva pubblicata su questo post, oltre a quanto già detto, da segnalare il toro bianco Nandin, il vahana (veicolo) di Shiva la cui statua – soprattutto nell’India del sud – è posta innanzi alla stanza del tempio dove è collocato il dio affinché possa essere intermediario tra Shiva stesso ed i fedeli che sussurrano nell’orecchio dell’animale i voti offerti e le grazie richieste alla divinità come illustra la terza foto che ho scattato a Madurai (Tamil Nadu) nello splendido tempio dedicato alla dea Meenakshi.