lunedì 28 novembre 2011

Lo sguardo di Gandhari e il destino di Duryodhana


Il combattimento 
tra Bhima e Duryodhana
Eravamo al diciassettesimo giorno della grande battaglia di Kurukshetra narrata dal Mahabharata. I Pandava stavano sconfiggendo i cugini Kaurava che tredici anni prima avevano con l’inganno usurpato il trono. 
Dei cento figli del re cieco Dhritarashtra ne rimaneva uno, il perfido Duryodhana, colui che rappresentava la causa della più grande e sanguinosa guerra dell’umanità. Il giorno dopo si sarebbe scontrato con Bhima in quello che presumibilmente sarebbe stato il combattimento finale. 
La regina Gandhari, madre di Duryodhana, era sopraffatta dal dolore per aver perso tutti i propri figli tranne uno, voleva ad ogni costo salvare Duryodhana anche se sapeva che tutta la tragedia era conseguenza delle colpe del figlio. 
Gandhari, che dal momento delle nozze si era coperta gli occhi con una benda per divenire cieca come cieco era suo marito Dhritarashtra, si era sottoposta ad austerità e meditazioni che le avevano conferito grandi poteri. Si fece condurre quindi sul campo di battaglia per dare una possibilità di salvezza al figlio. 
“Figlio mio – disse Gandhari a Duryodhana – domani mattina prima di andare a combattere vieni nella mia tenda completamente nudo.” 
Il giorno dopo Duryodhana si recò dalla madre senza vestiti indosso, ma all’ingresso della tenda si imbattè in Krishna, alleato dei nemici Pandava, che era andato a rendere omaggio alla regina, non a caso proprio in quel momento. 
“Duryodhana perché sei così, tutto nudo?” chiese Krishna. 
“Devo recarmi dalla regina mia madre,” rispose Duryodhana. 
“Ma è sconveniente e non è consentito presentarsi alla propria madre in questo stato, cingiti almeno i fianchi con un panno,” replicò Krishna. 
E Duryodhana, imbarazzato, così fece ed entrò nella tenda della madre. 
“Eccomi madre – disse – sono qui davanti a te.” 
Gandhari, per la prima volta da quando si era sposata, si tolse la benda e col suo sguardo mistico infuse nel corpo del figlio l’invincibilità, ma al tempo stesso la regina si disperò. 
“Perché ti sei coperto i fianchi con un panno? In questo modo le parti del tuo corpo che non sono state esposte al mio sguardo saranno vulnerabili!” 
“E’ stato Krishna a dirmi che non era opportuno presentarmi a te senza vestito alcuno, e così io ho fatto.” 
Krishna! La regina capì. Anche il destino del suo ultimo figlio era segnato. Il giorno dopo Duryodhana venne ucciso da Bhima che gli spezzò entrambe le gambe.

Gandhari's gaze and Duryodhana's fate

Nakula, one of the
five Pandavas brothers

Kurukshetra battle was at its seventeenth day. The Pandavas were defeating their cousins ​​Kauravas who, thirteen years before, had usurped the throne by deception as Mahabharata narrated.
Of the hundred sons of blind king Dhritarashtra was left just one, the wicked Duryodhana, who represented the cause of the biggest and bloodiest war of humanity. The next day he would fight against Bhima in what presumably would be the final battle.
Queen Gandhari, mother of Duryodhana, was overwhelmed by the pain of having lost all her sons except one, wanted save Duryodhana at all costs, even though she knew that the whole tragedy was a result of the sins of her son.
Gandhari, who since her marriage had covered her eyes with a bandage to become blind as blind was her husband Dhritarashtra, had undergone austerities and meditations which had given her great powers. Then she went to the battlefield to give a chance of salvation to his son.
"My son - Gandhari said to Duryodhana - tomorrow morning before going to fight come to my tent completely naked."
The next day Duryodhana went to his mother without clothes on, but at the entrance of the tent came across Krishna, major ally of the Pandavas, the Duryodhana enemies, who had gone to pay homage to the queen, not coincidentally at that time.
"Duryodhana, because you're so naked?" said Krishna.
"I have to go to the queen my mother," said Duryodhana.
"But it is inconvenient and isn’t allowed to present to own mother in that state, at least gird your hips with a cloth," said Krishna.
And Duryodhana, embarrassed, did so and went into the tent of his mother.
"I am here before you, mother," said Duryodhana.
Gandhari, for the first time since she was married, took off her blindfold and with her mystical eyes infused into the body of her son invincibility, but at the same time the queen was desperate.
"Why have you covered your hips with a cloth? In this way the parts of your body that have not been exposed to my gaze will be vulnerable! "
"Krishna told me that it was not appropriate to introduce myself to you without any clothes, and so I did."
Krishna! The queen knew. The fate of her last son was sealed too. The day after Duryodhana was killed by Bhima who broke both his legs.

venerdì 25 novembre 2011

The Indian economic 'miracle'

Let me point out an article, long but very interesting, Siddhartha Deb on the 'miracle' of Indian economic published on Guernica magazine. This is only a brief excerpt, to read the entire article click  here


Workers in Cochin

"The changes that have been wrought in India in the past two decades have not been kind to the poor. Even as the number of millionaires and billionaires has increased, followed by the aspirers from the middle classes, the poor have seen either little or no improvement at all, depending on which economists and policy makers one chooses to believe. The data collected by the Indian government, which has been subject to some controversy for its tendency to downplay the number of poor people and the extent of their destitution, is nevertheless stark. In 2004-2005, the last year for which data was available, the total number of people in India consuming less than twenty rupees (or fifty cents) a day was 836 million—or 77 percent of the population. The people in this group belong overwhelmingly to what policy makers refer to as the “unorganized” or “informal” sector of the economy, which means that the work they do is irregular, carried out in harsh conditions and offers no security or upward mobility."

Il 'miracolo' economico indiano

Vi segnalo un articolo, lungo ma molto interessante, di Siddhartha Deb sul 'miracolo' economico indiano pubblicato su Internazionale del 18 novembre 2011. Ne riporto solo un breve stralcio, per leggere l'intero articolo clicca qui.


Camion diretto al mercato
ortofrutticolo di Ernakulam
 "I cambiamenti introdotti in India negli ultimi vent’anni non hanno aiutato i poveri. Mentre è aumentato il numero di milionari e miliardari, e quello degli appartenenti alla classe media che aspirano a diventarlo, per i poveri la situazione è migliorata poco o per nulla, a seconda degli economisti e dei politici a cui si decide di credere. In ogni caso, i dati raccolti dal governo indiano, criticato per la sua tendenza a ridimensionare il numero dei poveri e il loro stato di indigenza, parlano chiaro: tra il 2004 e il 2005, il periodo a cui risalgono gli ultimi dati disponibili, gli indiani che vivevano con meno di 20 rupie al giorno (30 centesimi di euro) erano 836 milioni, cioè il 77 per cento della popolazione. Sono persone che lavorano prevalentemente in quel settore dell’economia che i politici definiscono “non organizzato” o “informale”: in altre parole, fanno un lavoro irregolare, in condizioni difficili e senza garanzie o prospettive di mobilità verticale."

sabato 19 novembre 2011

Yama, Yami e l'invenzione della notte


Tramonto indiano
Yami era follemente innamorata di suo fratello Yama. Voleva giacere con lui e si struggeva per il rifiuto del fratello.
Secondo i Veda, Yama e Yami furono i primi due esseri umani.
Yama, figlio di Visvasvat (un aspetto di Surya, dio del sole) e di Saranyu (la Nuvola o l'Aurora) è infatti l’uomo storico primordiale, il primo dei mortali e, quindi, il primo essere vivente che morrà e che passerà nell’aldilà di cui poi diventerà l’incontrastato e temutissimo re.
Yami era sua sorella gemella e da lei nacque in seguito il fiume, gemello del Gange (rectius della Ganga), la Yamuna.
Insomma i due erano gli unici esseri umani esistenti ed Yami insisteva continuamente, voleva il fratello, voleva unirsi a lui per avere una discendenza e popolare la terra. Del resto chi poteva amare non essendoci nessun altra persona oltre al fratello?
Il Rig Veda (X, 10) narra di questa storia fornendo una versione originale del tema primordiale dell’incesto.
“Gli immortali desiderano una discendenza dall’unico dei mortali, fratello mio - dice ancora Yami al fratello - che il potere manifestatore della tua mente si unisca a quello della mia, che il tuo corpo penetri il mio.”
“Faremo noi ciò che fino ad oggi non è stato mai fatto? – risponde Yama - Noi che parliamo di rettitudine agiremo in modo non retto?”
“Il desiderio per te è ormai dentro di me, voglio giacere con te nello stesso letto,” insiste la sorella.
“O donna lasciva – replica Yama - gli dèi ci guardano.”
“I gemelli sono avvinti già nel ventre materno come lo sono il cielo e la terra – ribatte Yami - perché non possiamo farlo una volta che siamo nati?”
“Vattene, desidera un marito diverso da me – dice Yama - con lui giaci nel medesimo letto, con lui congiungiti.”
“Sopraffatta dal desiderio ancora ti prego, unisci il tuo corpo al mio.”
“Mai acconsentirò ad unire il mio corpo a quello di mia sorella – conclude Yama - desidera il potere manifestatore della mente di un altro uomo, che quel potere si unisca al tuo.”
Quello che accadde dopo e cioè come il mondo si è popolato nonostante il rifiuto dell’unico uomo a congiungersi con l’unica donna, qui ci interessa poco. Quello che mi piace ricordare è che quando Yama morì, il primo uomo a morire, Yami fu disperata e la sua disperazione non si placava.
Agli dèi che cercavano di consolarla, lei replicava, “Come non posso essere disperata se oggi è morto il mio amato fratello?” E sempre era “oggi”, perché ancora non era stato inventato il tempo, né il giorno nè la notte e tutto avveniva in un eterno presente.
Allora gli dèi inventarono il tempo ed il suo trascorrere, inventarono la notte ed il succedersi di essa al giorno.
Yami cominciò pertanto a dire, “Ieri è morto il mio amato fratello Yama, “ e poi “Sette giorni fa è morto il mio amato fratello Yama,” e poi ancora “Un anno fa…”.
“Per questo – conclude questa volta la Maitrayani samhita – si dice che il trascorrere del tempo allevia le sofferenze.”

Yama, Yami and invention of the night

Sunset in Cochin - Kerala
Yami was madly in love with her brother Yama. She wanted to lie with him and pined for the refusal of his brother.
According to the Vedas, Yama and Yami were the first two human beings.
Yama, the son of Visvasvat (an aspect of Surya, the Sun God) and Saranyu (the Cloud or Aurora) is the primeval man, the first of mortals, and thus, the first living creature to die and to go to the afterlife whose then he’ll become the undisputed and feared king.
Yami was his twin sister and Yamuna, the twin river of the Ganges (or rather of the Ganga), was born from her.
In short, the two were the only humans in existence and Yami constantly insisted, she wanted his brother, wanted to join him to have offspring and to populate the earth. And who else could she love, being no other person than her brother?
The Rig Veda (X, 10) tells this story by providing an original version of the primal theme of incest.
"The Immortals Gods want an offspring from the only of mortals, my brother - Yami says to his brother - the manifest power of your mind to be united with that of mine, that your body enters mine."
"Will we make what until now has never been make? - Yama responds - We are talking about righteousness and will we act incorrectly?"
"The desire for you is now inside of me, I want to lie in the same bed with you," his sister insists.
"O woman lascivious – Yama responds - the Gods are watching us."
"The twins are already enbraced in the womb like the sky and the earth - Yami says - because we cannot it do once we are born?"
"Go away, desire a husband than myself - says Yama - lie in the same bed with him, join up with him."
"Overwhelmed by the desire, I pray you again: unite your body to mine."
"I’ll never agree to join my body to my sister - Yama concludes - desire the manifest power of the mind of another man, that power will join you."
What happened after, that is how the world is populated despite rejection of the only man to join with the only woman, little of interest here. What I like to remember is that when Yama died, the first man to die, Yami was desperate and her despair did not abate.
To the Gods who were trying to console her, she replied, "As cannot I be desperate if my beloved brother died today?" It was always "today", because it was not yet invented the time or day and night and all was happening in an eternal present.
So the Gods invented the night and succeeding of that to the day and then the passing of time.
Yami thus began to say, "My beloved brother Yama is dead yesterday," and then "My beloved brother Yama died seven days ago," and again "A year ago ...."
"For this - Maitrayani samhita concludes this time - it is said that the passing of time relieves the suffering."

sabato 12 novembre 2011

"A nation greater then the sum of its parts"

Sanskrit
Sometimes we don’t realize that India is a very big country, a subcontinent with cultural, religious, ethnic, social, ethical, difference often very considerable. Therefore, it’s impossible to say that "it does so in India" or "in India it is believed that ...". Our desire for simplification collides with a variety non-existent in Europe and with a nation that defies every classification. So someone has written provocatively that "India does not exist."
It is not exclusively a population, in India there are currently about one billion and 200 million inhabitants, or of land and climate.
Hinduism, for instance, is not an unitary religion, it’s a term with which we try to encompass practices, customs, beliefs, faiths practiced in India. But in the Hinduist tradition there are also philosophical atheist, devoutly revered deities in certain areas are not even known in other areas.
And then, in addition to the Hindu tradition there are many other religions, not secondary in terms of 'quantity', if you think that India with its 150 million Muslims is the second largest Islamic nation in the world.
In India the feeding varies for different places, people follow multiple calendars and dress in various ways.
Think about the language. Indian law recognizes 18 official languages, but schools teach 50 different languages ​​and movies are produced in 15 languages, while there are newspapers in over 90 languages ​​and radio programs in at least 70 different languages.
And mind you that those aren’t languages similar to each other, some are totally different. Some languages ​​are in fact derived from the Indo-European, such as Sanskrit and Hindi, as other languages have Dravidian source like Tamil and Malayalam, but others are derived from the Mon-Khmer branch and others from Sinotibetano branch.
Malayalam is spoken in Kerala, in Maharashtra Mahara, the Kannada in Karnataka, the Mithila in Bihar, the Konkali in Goa, Hindi is the official language of twelve Indian states, Assam and the Bodo and speaking the Assamese in Andra Pradesh and in Pondhicherry we talk instead Telegu, and then there are the tribal languages ​​like Gondi and Bhil.
The result of all this diversity is that India does not really exist? It does, it does, but as Amartya Sen says in his book The argumentative indian, "the only possible idea of ​​India is that of a nation greater than the sum of its parts."

"Una nazione più grande della somma delle sue parti"

Cartello in malayalam
A volte non ci rendiamo conto che l’India è un paese molto grande, un subcontinente con diversità culturali, religiose, etniche, sociali, etiche spesso rilevantissime. Per questo è impossibile dire che “in India si fa così” oppure “in India si crede che…”. La nostra voglia di semplificazione deve scontrarsi con una varietà che non si ritrova in Europa e con una nazione che sfugge ad ogni classificazione. Tanto che qualcuno ha provocatoriamente scritto che “l’India non esiste.”
Non è un problema esclusivamente di quantità di abitanti, in India attualmente si contano circa un miliardo e  200 milioni di abitanti, né di territorio o di clima, ma di storia e di cultura.
L’Induismo per esempio non è una religione, è un termine col quale si cerca di racchiudere usi, costumi, credenze, fedi praticate in India. Ma nella tradizione induista ci sono anche correnti filosofiche ateistiche, alcune divinità venerate devotamente in certe zone non sono neppure conosciute in altre zone.
E poi, oltre alle religioni che convivono nella tradizione induista, esistono molte altre religioni che non hanno niente a che vedere con l'"induismo" e che non sono certo secondarie neppure dal punto di vista ‘quantitativo’, se si pensa che l’India con i suoi 150 milioni di musulmani è la seconda nazione islamica del mondo.
E non finisce qui. Anche l’alimentazione varia al variare dei luoghi, si seguono molteplici calendari, ci si veste nei più svariati modi, si seguono usi e consuetudini particolari a seconda delle zone e delle regioni.
Pensate alle lingue. La legislazione indiana riconosce 18 lingue ufficiali, ma le scuole insegnano 50 diverse lingue ed i film sono prodotti in 15 lingue, mentre esistono quotidiani in più di 90 lingue e programmi radio in almeno 70 lingue diverse.
E badate bene che non si tratta di lingue simili tra loro, alcune sono totalmente diverse. Alcuni linguaggi infatti sono di derivazione indoeuropea, come il Sanscrito e l’Hindi, altri di origine dravidica come il Tamil o il Malayalam, altre ancora derivano invece dal ceppo Mon-khmer e altre da quello Sinotibetano.
In Kerala si parla il Malayalam, in Maharastra il Maharati, in Karnataka il Kannada, in Bihar il Mithili, il Konkali a Goa, l’Hindi è la lingua ufficiale di dodici stati dell’India, mentre nell’Assam si parla il Bodo e l’Assamese, in Andra Pradesh e in Pondhicherry si parla invece il Telegu e poi ci sono le lingue dei tribali come il Bhili e il Gondi.
Il risultato di tutta questa diversità è che davvero l’India non esiste? Esiste, esiste, ma come dice Amartya Sen nel suo libro L’altra India, “l’unica idea possibile di India è quella di una nazione più grande  della somma delle sue parti”.

sabato 5 novembre 2011

One who feed Krishna feeds the world

Mahabhalipuram, Tamil Nadu (India)
The twelve years of exile in the forest for the Pandavas were very hard and tiring. They no longer had the command of a flourishing kingdom, no longer lived in sumptuous palaces with servants and maids, but they lived in huts made of bushes and were exposed to the harsh climate and the dangers of the forest.
To make their exile less hard and to enable the five heroic brothers and their wife Draupadi to always have food, the Mahabharata tells us that Surya, the sun God, had given them a copper tray prodigious.
Every time that the Pandavas were hungry, the tray was filled with food and remained full of food until Draupadi had eaten. After the tray remained empty until the next day.
This magic tray made possible not only to the Pandavas to eat, but also to welcome the guests and the wise men who came to visit them with worthy honors. If the hospitality was not worthy and generous, the sages could cast a curse against the Pandavas, and in their situation, they could not afford to be cursed by some ascetic.
One of the most angry rishi was Durvasa. He always pretended to be received with full honors, demanded food for himself and for his many disciples who followed him always, if he had not been satisfied by his guests, he hurled painful curses.
One day, Durvasa went to the palace of Hastinapura where Duryodhana, the evil son of Dritharshtra who had exiled by fraud Pandava cousins, received him with the greatest honors. Durvasa was pleased and said to Duryodhana: "Ask what you want, I will give it."
The evil Duryodhana, who feared the return of the cousins ​​at the end of exile, asked the rishi:
"Oh great and venerable sage, please go to the forest to visit my poor cousins, I are sorry for them and I’m sure they would be happy of your visit."
Duryodhana invited the rishi to go to Pandavas in the evening, after dinner, because he knew that in that way the magic tray would have been hopelessly empty until the next morning.
And so it happened. Durvasa went to the Pandavas and said: "I and my followers are going to do the ritual ablutions, we would like to eat when we come back."
Draupadi was desperate, the tray was empty and she was not able to prepare food in a short time for such a large group. She was terrified, the rishi would hurl a curse against the Pandavas once he was realized that there was nothing to eat. The Queen turned to Lord Krishna, she thought him with all his strength and Krishna appeared to her.
"Hello my Queen Draupadi," said Krishna.
"I need your help, my dear Lord!" Draupadi cried in anguish.
"Wait, I'm hungry, can you give me something to eat first."
"But it is precisely the problem, I’ve nothing to eat," said Draupadi.
"Are you sure? - Krishna insisted - Get the tray and look closely."
Draupadi took the tray and looked into it, it was empty.
"Look closer," said Krishna.
"There is nothing - Draupadi said sadly - there was only a grain of rice and a piece of vegetable."
"Give those to me," said Krishna.
Draupadi gave those to him and Krishna ate two small pieces of food.
"I am satiated - said Krishna to Draupadi - have no concern." And he went.
At the same time, Durvasa and his disciples were returning to the hermitage of the Pandavas and felt incredibly full, satiated, they were no longer hungry, they felt as if they had eaten a large meal.
"Excuse us, Queen - Durvasa said to Draupadi - thank you for your hospitality, but we’ll eat with you another day."
Thus Draupadi and the Pandavas were saved from the curse of Durvasa.
One who feed Krishna feeds the world.

Chi sazia Krishna sazia il mondo

Tempio di Sri Meenaski - Madurai
(Tamil Nadu - India)
I dodici anni di esilio nella foresta per i Pandava furono molto duri e faticosi. Non avevano più il comando di un regno florido, non vivevano più in sontuosi palazzi con servi e ancelle, ma abitavano in capanne fatte di arbusti ed erano esposti al clima rigido e ai pericoli della foresta.
Per rendere il loro esilio meno duro e per consentire ai cinque eroici fratelli e alla loro moglie Draupadi di avere sempre cibo, il Mahabharata ci racconta che Surya, il dio del Sole, aveva donato loro un prodigioso vassoio di rame.
Ogni volta che i Pandava avevano fame, il vassoio si riempiva di cibo e restava pieno di cibo fino a che non si serviva Draupadi. Dopo che la regina aveva mangiato, il vassoio rimaneva vuoto fino al giorno successivo.
Questo vassoio magico consentiva ai Pandava non solo di mangiare, ma anche di accogliere con i degni onori gli ospiti ed i rishi, saggi che si recavano da loro in visita. Se l'accoglienza non fosse stata degna e generosa, i saggi avrebbero potuto lanciare una maledizione contro i Pandava e, nella loro situazione, non potevano certo permettersi di venire maledetti da qualche asceta.
Tra i rishi più iracondi c'era Durvasa. Esigeva di essere sempre accolto con tutti gli onori, pretendeva cibo per sè e per i propri numerosi discepoli che lo seguivano sempre e, nel caso in cui non fosse stato soddisfatto dai propri ospiti, lanciava maledizioni dolorosissime.
Un giorno Durvasa si recò alla reggia di Hastinapura dove Duryodhana, il malvagio figlio di Dritharshtra che aveva con l'inganno esiliato i cugini Pandava, lo accolse con i più grandi onori. Durvasa rimase soddisfatto e disse a Duryodhana: "Chiedimi ciò che vuoi, te lo concederò."
Il perfido Duryodhana, che temeva il ritorno dei cugini al termine dell'esilio, chiese al rishi:
"Oh grande e venerabile saggio, ti prego di andare nella foresta a visitare i miei poveri cugini, sono in pena per loro e sono certo che sarebbero felici di una tua visita."
Duryodhana invitò il rishi a recarsi dai Pandava la sera, dopo la cena, perchè sapeva che in quel modo il vassoio magico sarebbe stato irrimediabilmente vuoto fino al mattino successivo.
E così avvenne. Durvasa si recò dai Pandava e disse loro: "Io ed i miei discepoli andiamo a fare le rituali abluzioni, al ritorno vorremmo mangiare."
Draupadi era disperata, il vassoio era vuoto e non era certo in grado di preparare da mangiare in poco tempo per una così numerosa comitiva. Era terrorizzata, il rishi avrebbe lanciato una maledizione contro i Pandava una volta che si fosse reso conto che non c'era niente da mangiare. La regina si rivolse a Krishna, lo pensò con tutta la sua forza e Krishna le apparve davanti.
"Salve mia regina Draupadi," disse Krishna.
"Ho bisogno del tuo aiuto, mio caro Signore!" gridò angosciata Draupadi.
"Aspetta, ho fame, prima dammi qualcosa da mangiare," ribattè lui.
"Ma è proprio questo il problema, non ho niente da mangiare," replicò Draupadi.
"Ne sei sicura? - insistè Krishna - Prendi il vassoio e guarda bene."
Draupadi prese il vassoio e vi guardò dentro, era vuoto.
"Guarda meglio," disse Krishna.
"Non c'è niente - disse sconsolata Draupadi - c'è rimasto un chicco di riso e un pezzetto di verdura."
"Dammeli," disse Krishna.
Draupadi così fece e Krishna mangiò i due piccoli pezzi di cibo.
"Mi sono sfamato - disse Krishna a Draupadi - non avere alcuna preoccupazione." E se ne andò.
Nello stesso momento, Durvasa ed i suoi discepoli stavano tornando all'eremo dei Pandava e si sentirono incredibilmente sazi, non avevano più fame, si sentivano come se avessero mangiato un abbondante pasto.
"Scusaci, regina - disse allora Durvasa a Draupadi - ti ringrazio per la tua ospitalità, ma mangeremo alla tua tavola un altro giorno."
Così Draupadi e i Pandava si salvarono dalla maledizione dell'iracondo Durvasa.
Chi sazia Krishna sazia il mondo.

giovedì 3 novembre 2011

Il programma di River to River




E' stato pubblicato il Programma dell'11° Florence Indian Film Festival che si terrà a Firenze dal 2 all'8 dicembre 2011.

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