domenica 3 aprile 2011

Shiva, Sati e Daksha


Il sacrificio di Sati

Shiva. Dio ambiguo dai 1008 nomi. Solitario, ascetico, frequentatore dei luoghi della cremazione, mendicante coperto di cenere. Molto probabilmente ci sono voluti secoli perché la religione che si basava sui Veda, portata nel subcontinente indiano dagli arii verso il 1.500 a.C. accettasse questa divinità autoctona.
Shiva era considerato qualcosa di estraneo, violento, molesto, sporco.
All’inizio venne chiamato Rudra, l’urlatore, lui fu individuato come il cacciatore che colpì il ventre di Prajapati nell’atto di congiungersi alla figlia Usha. Quella freccia colpì il progenitore ed il suo seme si disperse sulla terra dando origine a tutto ciò che esiste, violando l'unità dell'increato.
Rudra era temuto dagli uomini e dagli dei. Appena nato si scagliò contro il padre. Non era ammesso al sacrificio, poteva solo nutrirsi di ciò che rimaneva del sacrificio officiato per gli altri dei.
Il passaggio dall’esclusione di Shiva al suo prevalere,  l’accettazione cioè degli dei, dei riti e dei principi religiosi dell’India autoctona da parte della cultura vedica, è metaforizzato nel mito di Shiva e la sua prima sposa, Sati che in sanscrito significa ‘Fedeltà’ e che voglio sintetizzare oggi.
Ebbene Sati era la prima delle sessanta figlie di Daksha, il Signore del sacrificio, ed era andata sposa a Shiva su ordine di Brahma. Daksha però non amava il genero e aveva subito l’ordine di Brahma, suo padre.
Un giorno Daksha si recò a celebrare un sacrificio, al suo ingresso tutti si alzarono in piedi in segno di rispetto, ma non Shiva. Daksha si sentì offeso, non consentì al genero di prendere la sua porzione di sacrificio e non lo invitò più ai sacrifici, umiliandolo pubblicamente.
Sati, irata per l’esclusione del marito, si recò dal padre e si uccise bruciando nel fuoco sacrificale.
Shiva fu sconvolto dalla morte della sposa. Si recò nel luogo dove lei era bruciata e si cosparse sul corpo le sue ceneri. Poi realizzò la propria vendetta, una vendetta che doveva essere definitiva, doveva segnare un prima e un dopo.
Il grande dio si strappò un capello e da esso nacquero Virabhadra e Mahakali mostri tremendi che, alla guida di una folla di esseri violenti, attaccarono gli dei e il sacrificio. Distrussero ed uccisero senza sosta finchè Virabhadra non tagliò la testa di Daksha. Gli dei non poterono far altro che rifugiarsi presso Brahma al quale riferirono ciò che era accaduto.
Brahma allora, insieme a tutti gli altri dei, si recò a chiedere perdono a Shiva, lo venerarono e gli promisero che avrebbe avuto parte del sacrificio.
Si recarono quindi sul campo di battaglia. Il corpo di Daksha senza testa giaceva in terra. Su ordine di Shiva misero sul corpo di Daksha la testa di un caprone,  l’animale sacrificale. Poi Shiva guardò Daksha e in questo modo gli ridiede la vita.
Era finita un’epoca. Non era stato semplice, ma Shiva era stato accettato. Shiva era il Mahadeva, il Grande Dio.


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