Anche sulla nascita di Skanda o Karttikeya esistono molte leggende, questa la più diffusa.
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Da destra: Ganesh, Shiva, Parvati e Skanda |
Gli dei erano preoccupati, il demone Taraka – temibile asura – li minacciava e solo un figlio nato da Shiva poteva salvarli. Per questo erano riusciti a distogliere il Dio dallo stato meditativo in cui era sommerso dopo la morte di sua moglie Sati e a convincerlo Shiva ad unirsi a Parvati.
Ma erano ormai mille anni che Shiva e Parvati stavano chiusi nelle loro stanze sul monte Kailasa occupati nei loro giochi erotici. Shiva infatti – grande yogi – aveva un pieno controllo di sé ed era in grado di trattenere il seme per anni e trasformare tutta la sua energia in amore erotico, ma improduttivo.
Il tempo passava, gli dei erano preoccupati e si recarono dal grande dio capeggiati da Vishnu.
Shiva fu costretto ad interrompere l’amplesso con Parvati e il seme del dio fuoriuscì e cadde nel vuoto. Agni, il dio del fuoco che si era trasformato in colomba, lo inghiottì. Il fuoco del sacrificio tutto brucia e trasforma.
Quando Parvati venne a sapere cosa era accaduto, maledì tutti gli dei “sarete miserabili e soffrirete pene indicibili”, condannò le loro spose alla sterilità e maledì Agni per aver indecentemente ingoiato il seme del suo sposo. Il dio del fuoco venne condannato, lui distruttore di ogni cosa, ad essere logorato da una febbre senza sosta.
Gli dei ingerirono il seme di Shiva, infatti tutti i cibi sacrificali venivano distribuiti agli dei dopo che erano stati purificati da Agni, il fuoco. Anche in quel caso fecero così, ma si sentirono morire, non erano in grado di contenere la potenza del seme del Mahayogi e si recarono nuovamente da Shiva a chiedere il suo aiuto.
Shiva, il Benevolo, li aiutò e tutti gli dei poterono espellere il seme che cadde sulla terra divenendo una meravigliosa montagna.
Anche Agni chiese di essere liberato dall’insopportabile dolore che lo aveva catturato per la maledizione di Parvati. Shiva acconsentì. Così il seme di Shiva, che era ancora dentro Agni, si trasferì nel grembo di sei delle sette mogli dei saggi che si erano avvicinate a lui per riscaldarsi. La settima, Arundhati, ne stette alla larga.
I sei saggi, quando scoprirono che le loro mogli erano incinte, le lasciarono e queste, che erano le sei Krittika (le Pleiadi), disperate abbandonarono il seme che avevano in grembo sull’Himalaya.
Ma neppure il grande dio della montagna era in grado di sostenere il seme di Shiva e lo fece cadere nelle acque del fiume Gange. Anche la dea Ganga, il grande fiume indiano, non fu in grado di tenere il prodotto del dio e lo gettò in un canneto.
Giunto sulle rive del fiume, il seme si trasformò in un bambino bello e forte, in quello stesso momento, senza sapere perché, sulle cime dell’Himalaya Shiva e Parvati si riempirono di gioia.
Era nato Skanda, ‘figlio’ – come Ganesh - di Shiva e Parvati.
Lui è il dio della guerra e rappresenta il pianeta Mangala, cioè Marte.
Skanda è interessato solo a combattere, per questo non ha sposa, sua unica sposa è la sua armata e per questo è conosciuto anche come Senapati, Comandante delle armate. La sua lancia, Shakti Vel, non manca mai il bersaglio e torna nella mano del dio una volta che ha raggiunto l’obiettivo, per questo è detto anche Shaktidhara, Portatore di lancia.
Per questa sua illibatezza è chiamato anche Kumara, il giovane, l’adolescente. Nello yoga infatti ‘skanda’ è il potere della castità, il controllo totale di sè che si raggiunge quando, con l’ascesi e la castità, si sublima l’energia erotica.
Suo veicolo, o vahana, è il pavone Paravani e sarà lui l’eroe che ucciderà il demone Taraka.
Skanda, che significa ‘effusione’ (del seme), è conosciuto anche col nome di Karttikeya, perché venne allevato dalle sei Krittika. Per questo è raffigurato con sei volti che nacquero al dio per consetirgli di bere il latte dal seno delle sue sei nutrici. Per tale motivo è conosciuto anche come Shanmukha o Shadanan, Dai sei volti
Ha anche altri nomi tra i quali Subrahmanya e Gangaja, nato dal Gange.
A lui è dedicato l’importante Skanda Purana e un famoso poema dattribuito a Kalidasa, il Kumarasambhava, La nascita di Kumara.
Oggi il suo culto è molto diffuso nel sud dell’India dove qualcuno lo assimila all’antichissimo dio dravidico Murugan.