sabato 19 maggio 2018

Rudraksha, il gatto in meditazione

Particolare del bassorilievo di Mahabalipuram,
il gatto è sotto le zanne dell'elefante
C’era una volta in India un gatto molto astuto che, per poter catturare i topi senza troppo sforzo, fingeva di essere un saggio in meditazione. 
Il gatto quindi – imitando i grandi rishi dell’induismo – stava fermo ritto su una gamba con le zampe anteriori alzate e le 'mani' giunte. 
Lo chiamavano Rudraksha, perchè aveva anche il tradizionale rosario induista, il japamala che è formato da semi di rudraksha, le lacrime di Shiva.
La notizia si diffuse rapidamente e tutti, uomini ed animali, si recavano a rendere omaggio al ‘santo’. 
Anche i topi, vinto il loro iniziale timore, si recarono a venerare il gatto. 
Ma dopo un po’ di tempo i topi cominciarono a rendersi conto che il loro numero diminuiva mentre il gatto ingrassava sempre più. 
Scoperto il trucco, il gatto Rudraksha dovette emigrare e andare ad ingannare altri topi in altri luoghi. 
Di questo racconto abbiamo anche la narrazione scultorea. Infatti a Mammalipuram (o Mahabalipuram) vicino a Chennai sulla costa sud orientale dell'India nel meraviglioso bassorilievo che narra la nascita del fiume Gange possiamo vedere Rudraksha, il gatto in meditazione.  
In India i gatti sono considerati animali inaffidabili ed ipocriti tanto che il Manusmriti (Le Leggi di Manu) suggerisce all’uomo saggio di “non offrire neppure un po’ d’acqua a colui che si comporta come un gatto” e poi spiega che “chi fa della religione solo apparenza, chi è avido, infido, ipocrita ed imbroglione, chi è disposto a stringere alleanze con chiunque è uno che si comporta come un gatto” (Manusmriti IV, 192 ss.).


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