L'8 agosto 1942, il Mahatma Gandhi inferse l’ultima spallata al dominio britannico in India: il “Quit India”, un chiaro invito agli inglesi: fuori dall'India.
“Vi dò un breve mantra – disse Gandhi a migliaia di attivisti riuniti a Bombay - imprimetelo nel vostro cuore e lasciate che ogni vostro respiro gli dia espressione. Il mantra è ‘do or die’, 'agire o morire’. O saremo liberi o moriremo nel tentativo di esserlo”.
“Vi dò un breve mantra – disse Gandhi a migliaia di attivisti riuniti a Bombay - imprimetelo nel vostro cuore e lasciate che ogni vostro respiro gli dia espressione. Il mantra è ‘do or die’, 'agire o morire’. O saremo liberi o moriremo nel tentativo di esserlo”.
La mobilitazione, che doveva consistere in una disobbedienza civile generalizzata, iniziò in tutta l’India il giorno dopo, ma non vi parteciparono i leader del Congresso perché nella notte tra l’8 e il 9 agosto vennero arrestati in massa a cominciare da Gandhi e da sua moglie Kasturba.
L’arresto dei principali esponenti indipendentisti esacerbò ancora di più gli animi e in tutto il subcontinente si verificarono scioperi, boicottaggi, violenze e scontri. Morirono migliaia di manifestanti e gli arresti furono oltre 60.000.
Col passare del tempo, e a seguito della durissima repressione britannica, la mobilitazione perse vigore, ma solo nel 1944 Gandhi e i leader del Congresso vennero liberati.
Un altro colpo, forse quello decisivo, venne così dato all’illegittima occupazione britannica in India, la strada per l’indipendenza, che venne ottenuta dopo tre anni, era ormai spianata.
"La nostra non è una spinta per il potere – disse il Mahatma - ma puramente una lotta non violenta per l'indipendenza dell'India".
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