Il raggiungimento del Brahman ossia della conoscenza del Sè, obiettivo del cammino spirituale hindu, è chiamato dalla Katha Upanishad, "il raggiungimento del luogo della non paura" (II, 11). Si parla in particolare di raggiungere "l'altra sponda della non paura".
Alcune traduzioni italiane parlano de "il luogo della sicurezza", ma mi sembra molto più significativa e bella la traduzione letterale dal sanscrito della parola "abhaya", che significa appunto "non paura".
Alcune traduzioni italiane parlano de "il luogo della sicurezza", ma mi sembra molto più significativa e bella la traduzione letterale dal sanscrito della parola "abhaya", che significa appunto "non paura".
Ed è ovvio che, una volta raggiunto il Sè non c'è più la paura, perchè tale raggiungimento corrisponde con la consapevolezza dell'assenza di alterità. E là dove non c'è un altro è impossibile avere paura, si ha paura di qualcosa d'altro, come ci ricorda anche la Brhadaryanaka Upanishad (I, 4, 2).
La prima alterità che va eliminata è quella dell'io e del mio, l'essere convinti che io sia il mio corpo, le mie esperienze, la mia vita, pensare che io sia nama e rupa, nome e forma e non che io sia il Sè, tat tvam asi: io sono quello.
Il grande saggio Ramana Maharshi ricorda: "smisi di tenere a ciò che non era né me né mio e così sconfissi la paura".
Chiudere le porte della fortezza dalle undici porte e guardare dentro di sè (KU IV 1).
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