Una delle più diffuse e suggestive immagini di Shiva soprattutto nell’India del sud è quella di Shiva Nataraja, il Re della danza. Un altro esempio emblematico della duplicità dell’esistenza. Il grande asceta, il mendicante che chiede l’elemosina col corpo nudo cosparso della cenere dei crematori diventa Signore della più forsennata delle danze e in un cerchio composto dalle fiamme di Agni, detto prabhamandala o alatacakra, danza il vorticoso tandava, il ballo che simboleggia l’intera evoluzione dell’universo.
Ma vediamo nel dettaglio il simbolismo di questa potente immagine che rappresenta una delle 108 posizioni del tandava.
Il piede destro è posto sopra il demone Apasmara Purusha (o Mujalaka). Apasmara significa smemoratezza, oblio e simboleggia l’ignoranza, l’erronea credenza intesa come maya, illusione che fa credere reale ciò che è transitorio e che lega pertanto l’uomo alle passioni materiali e lo condanna a rinascere in quello ciclo che si chiama samsara.
La gamba sinistra è sollevata e piegata verso destra ad esprimere la funzione liberatoria della danza del dio.
Con una mano destra il dio tiene il damaru, il tamburo composto da due triangoli con i vertici uniti simbolo del lingam e della yoni, principio maschile e femminile. E’ il tamburo dal quale scaturì il suono primordiale, la sacra sillaba AUM. Questo è il simbolo della fase creatrice. Con una mano sinistra, piegata nel ardhachandra mudra, il gesto della mezzaluna, Shiva tiene invece una fiamma, simbolo del dio Agni e della fase distruttrice.
L’altra mano destra è piegata nel gesto che rassicura, che invita a non temere, l’abhaya mudra. L’altro braccio sinistro è invece proteso nel gesto della proboscite dell’elefante, il gajahasta mudra, a significare la capacità di rimuovere gli ostacoli ed indica la gamba sinistra come via della liberazione.
Dietro il capo si estendono i lunghi capelli del dio, mossi dalla violenza dei movimenti della danza.
Non mancano naturalmente gli altri simboli propri di Shiva che abbiamo già visto in un precedente post: la mezzaluna, il Gange, la collana di teschi.
Lo statico dio rappresentato dal lingam, da una colonna di pietra, diventa quindi il motore instancabile dell’universo, l’energia eterna che crea, mantiene e distrugge in quel dinamismo totale e incessante teorizzato dall’induismo in cui nulla è statico, permanente, ma tutto è in un vorticoso divenire ad eccezione dell’unica realtà, mai nata e che mai morrà, indefinibile e ineffabile, che non è essere nè non-essere, principio di tutte le cose: il Brahman.
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